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EDITORIALE - La dimensione tecnica, sociale ed etica dei Servizi in epoca di pandemia

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Il problema è la “pandemia che perdura”. La seconda/terza (e future?) ondate della pandemia costituiscono criticità indubbiamente maggiori rispetto alla prima fase. Nel termine emergenza è compreso il senso di una condizione grave che perdura per un tempo limitato, mentre la pandemia appare oggi una dimensione con cui convivere.

Sia a livello individuale che a livello di sistema sociale e/o di istituzioni, molto diverso è il grado di resilienza con il quale possiamo affrontare uno stress acuto, cui seguono meccanismi di adattamento e di compenso, piuttosto che uno stress cronico, dove inevitabilmente si intrecciano e si interrelano fattori biologici (malattia fisica), psicologici (disagio) e socio-economici (dati Istat: nel 2020 rispetto al 2019, un milione di persone in più in condizione di povertà assoluta).

È ormai evidente come la pandemia abbia acuito le differenze e le disuguaglianze con un diverso impatto sulle categorie fragili, come gli anziani (in termini di rischio biologico), i portatori di handicap ed i soggetti con disagio psichico (in termini di rischio biologico e di riduzione delle opportunità) ma anche i bambini e gli adolescenti (in termini di privazione delle relazioni tra pari e della possibilità di agire queste in contesti “protetti” come la scuola, relazioni che di fatto costituiscono fattori fondativi dell’identità).

L’inevitabile impatto della pandemia sull’amplificazione del divario socio-economico ha colpito i giovani adulti (dati Istat: aumento della povertà maggiore per gli occupati tra i 35 e i 44 anni) ma anche i minori (l’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale nel 2020 di oltre due punti percentuali, 209mila bambini e ragazzi poveri in più rispetto all’anno precedente). Questo amplifica il disagio nei ragazzi costretti in casa nelle periferie, con famiglie dotate di risorse economiche scarse (es. indisponibilità di devices come computer o di internet per la Didattica a Distanza), ancor più se si tratta di famiglie fragili e conflittuali.

Non sappiamo ancora spiegare con chiarezza il senso di manifestazioni quali le risse tra giovanissimi convocate via internet e l’autolesionismo/suicidio indotto su internet come “sfida e competizione imitativa”, certo però è il loro significato inquietante e ancor più lo sono le segnalazioni giunte da reparti di Neuropsichiatria impegnati nella gestione del disagio psichico nei minori (vedi segnalazioni su testate giornalistiche del reparto di Neuropsichiatria dell'ospedale Bambino Gesù di Roma). In questo ambito comunque, appare fondamentale richiedere una maggiore prudenza a livello mediatico, a tutti coloro che si trovano a gestire queste informazioni, per non elicitare comportamenti imitativi.

Altro tema su cui dovremmo riflettere è il modificarsi delle emozioni prevalenti tra le prime fasi della pandemia e quelle attuali, ovvero il passaggio da sentimenti di paura/incertezza a sentimenti di rabbia/diffidenza/rivendicazione, sottesi e amplificati dal protrarsi del disagio, ma anche soprattutto dall’incremento e dall’accentuarsi delle difficoltà e differenze/disparità socio-economiche.

Il tema “nessuno si salva da solo” che ci univa all’inizio, profondamente vero a molteplici livelli (interconnessione tra salute e rispetto dell’ambiente; tra salute delle civiltà economicamente più forti e salute delle periferie del mondo) rischia di ribaltarsi pericolosamente nel suo opposto dove diventano protagonisti individualismo e competitività (disponibilità e accesso ai vaccini; sospettosità verso l’altro/straniero portatore di contagio).

In questa cornice i Dipartimenti di Salute Mentale hanno dovuto necessariamente modificare le proprie pratiche per garantire continuità terapeutica ed assistenziale e soprattutto per mantenere (con maggiore difficoltà, date le indicazioni Covid-correlate sulle restrizioni dei rapporti sociali) interventi riabilitativi di inclusione sociale e comunitaria. Di fatto, se pure con alcune criticità e forse con differenze legate alle diverse fasi della pandemia e alle zone geografiche, i DSM sono riusciti a mantenere la loro mission di sostenere e promuovere salute mentale, mantenendo la presa in carico delle situazioni complesse ed anche proponendo interventi di supporto nelle reazioni da stress Covid-correlate, evidenziate nelle persone (utenti e operatori) direttamente coinvolte nel contagio e nella popolazione generale.

Il tema della “pandemia che perdura” ci impone ora ulteriori necessari adattamenti, con la necessità di reperire risorse in termini di operatori impegnati nella salute mentale di comunità, poiché a vari livelli – e non solo in salute mentale - è emersa la centralità degli interventi sul territorio (e quindi la necessità di invertire la tendenza sistematica verso “tagli lineari” in Sanità osservata negli anni passati), ma anche in termini di reperire strumenti e nuove metodiche (e-Mental Health, telemedicina).

Inoltre la prospettiva di un disagio sempre più a carattere sociale (dove oltre al disagio delle fasce giovanili, emerge un aumento delle crisi familiari, degli episodi di violenza domestica, dell’abuso di alcol e sostanze, dei disturbi stress-correlati legati anche a perdita di lavoro e/o a difficoltà economiche) evidenzia la necessità di agire attivamente sulla prevenzione e sugli stili di vita (individuando i contesti più fragili ed anche promuovendo nuove forme possibili di socialità), e di sostenere fortemente, con declinazioni operative, una reale integrazione dell’asse socio-sanitario.

In questo contesto, all’interno di questo numero accogliamo un contributo del Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale recentemente costituitosi, che nel suo documento programmatico sostiene la dimensione sociale ed etica dei DSM italiani unitamente a quella tecnico-professionale e scientifica e promuove la centralità dell’approccio comunitario, della multiprofessionalità e delle pratiche sostenute da evidenze. Il Collegio Nazionale dei DSM dà particolare valore all’integrazione di conoscenze multidisciplinari (epidemiologia, antropologia, genetica, clinica, ecc) ed a pratiche orientate al rispetto dei diritti umani, attivando anche un confronto tra operatori, stakeholder, Istituzioni, Enti pubblici e privati e declinando una serie di punti programmatici volti a delineare il futuro dei DSM.


In questo numero speciale dedicato a Covid, Servizi e Salute Mentale, Miriam Gualtieri, partendo da un suo libro recentemente pubblicato (Resartus. Viaggi, scoperte e visioni di Aby M. Warburg), pone in relazione la vicenda intellettuale e psicopatologica di Aby Moritz Warburg (1866 –1929), storico dell'arte e critico d'arte tedesco, con la pandemia di colera del XIX secolo, sottolineandone le affinità con l’attuale contesto pandemico. In particolare evidenzia come in entrambe le situazioni l’impatto della pandemia, modificando profondamente abitudini e stili di vita, sembri costituire una netta separazione con il passato, come qualcosa di completamente nuovo, tanto da pensare che “nulla sarà più come prima”, mentre di fatto le epidemie sono presenti fin dall’antichità e i cambiamenti, che fanno parte della storia, sono spesso generati piuttosto da eventi trascurabili. La biografia di Aby M. Warburg inoltre, tiene insieme una difficile dicotomia, poiché se da un lato è stato affetto da un disturbo psicopatologico complesso e paziente di Ludwig Binswanger, dall’altro lato il suo pensiero critico ha saputo considerare ad esempio la ricchezza che deriva dalla disponibilità a superare i confini tra diverse discipline, sfruttando il valore generativo di tale contaminazione. Disponibilità che è risultata centrale anche oggi per raggiungere – in tempi rapidi – acquisizioni scientifiche tali da permetterci di sfidare la complessità del reale e di fronteggiare la pandemia attraverso i vaccini.

Luigina Mortari propone una riflessione fenomenologica sul “senso della cura” nel contesto della pandemia, evidenziando come di fatto il difficile momento che stiamo vivendo ha riportato sulla scena problematiche essenziali per lungo tempo dimenticate e poste ai margini della nostra esistenza, quali ad esempio l’ingiustizia derivante da un profondo divario sociale (dice l’autrice che abbiamo forse annientato quel pensiero socratico per cui è “meglio ricevere un’ingiustizia che farla”, che fondava la nostra cultura). In questo contesto, “aver cura di sé stessi” costituisce un’azione ontologica necessaria data la sistematica fragilità e incompletezza della vita umana. D’altro lato la condizione umana ha di per sé una sostanza relazionale, per cui può essere pensata solo in relazione agli altri: condizione da cui deriva la necessità di “aver cura anche degli altri”. La cura si realizza poi nel contesto di una relazione e deriva dalla preoccupazione per la condizione e il benessere per l’altro. Ciò impone il passaggio dalla dimensione puramente tecnica della cura alla messa in gioco di dimensioni “umane” quali il profondo rispetto dell’altro, l’agire con delicatezza, l’essere disponibili e capaci di comprensione, il dedicare un tempo necessario a rassicurare e confortare, il sentirsi responsabili per l’altro. Ciò significa la messa in gioco di molte energie ed emozioni, per cui è necessaria una particolare attenzione alla “cura” degli stessi operatori, aspetto tanto più importante quanto più incerta o infausta è la prognosi e quindi il risultato degli interventi di cura.

Angelo Fioritti, Giuseppe Cardamone, Giuseppe Nicolò, Franco Veltro per il Consiglio Direttivo del Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale, propongono una riflessione sulla resilienza dei Dipartimenti di Salute Mentale ad un anno dall’inizio della pandemia, osservando come le restrizioni Covid correlate abbiano costituito un importante fattore di stress per il Sistema Sanitario Nazionale e per l’intera società. In questo contesto i Dipartimenti di Salute Mentale hanno dovuto modificare profondamente la pratica quotidiana, soprattutto relativamente agli interventi riabilitativi e di inclusione sociale, per le limitazioni ai contatti interpersonali imposte durante la pandemia. D’altro lato, nel lungo periodo, i DSM sono riusciti a garantire continuità terapeutica e assistenziale anche attraverso interventi di domiciliarità e teleSalute e sono stati inoltre riconosciuti dall’Istituto Superiore di Sanità, come servizi di riferimento essenziali nella risposta al disagio psicologico della popolazione generale. Inoltre con la collaborazione delle associazioni di utenti e familiari e del terzo Settore, la gran parte dei DSM italiani è riuscita a mantenere percorsi di inclusione sociale e lavorativa e di sostegno all’abitare. Infine, come osserva il Consiglio Direttivo del Collegio Nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale, nelle strutture residenziali psichiatriche non si è osservato un elevato numero di contagi, verosimilmente per le piccole dimensioni e per l’appropriata copertura sanitaria derivante dall’appartenere alla rete dei servizi DSM. D’altro lato, il perdurare della pandemia e dello stress correlato apre nuove sfide, tra cui ad esempio la necessità di garantire un rapido accesso ai vaccini per gli utenti con disturbi mentali gravi e persistenti, che sappiamo avere maggiore probabilità di sviluppare forme gravi di malattia da COVID o di morirne.

Raffaele Barone, Maurizio Cirignotta e Angela Volpe propongono una riflessione su come mantenere dialogicità e democrazia nei Servizi pubblici di salute mentale nel contesto della pandemia, ponendo particolare attenzione anche all’utilizzo delle nuove tecnologie (piattaforme multimediali, web). Gli autori elencano e commentano “10 lezioni” che, ad un anno dall'inizio della pandemia, possiamo derivare per promuovere e sostenere la salute mentale di comunità: 1) “nessuno si salva da solo”; 2) “è necessario potenziare l’attività territoriale”; 3) “occorre un’organizzazione sociale responsabile e costruttiva”; 4)dobbiamo “incentivare residenze a bassa intensità, come i gruppi appartamento o il sostegno domiciliare”; 5) “i respiratori naturali, le attrezzature fondamentali, per i servizi di salute mentale, sono giovani professionisti da collocare nel territorio”; 6) “le molteplici terapie farmacologiche si adattano da persona a persona, da professionista a professionista e non ci sono ancora indicazioni e certezze standard”; 7) “i social media possono essere utilizzati in modo attivo e non subiti passivamente”; 8) “durante la quarantena le persone sono state obbligate a prendersi cura di sé e delle proprie paure, accettando la realtà per quella che è”; 9) “la famiglia e i sistemi sanitari sono le agenzie a cui tutte le persone hanno chiesto aiuto durante la fase più difficile della pandemia da Covid-19”; 10): “occorre attivare una formazione innovativa e trasformativa che riguarda l'agire terapeutico, ma anche l’agire umano e quello professionale”.

Salvatore Inglese riflette su come negli ultimi anni precedenti la pandemia da Covid 19, serpeggiasse in alcuni contesti un presentimento di “fine del mondo” e di catastrofe imminente (anche in relazione a disastri naturali spesso correlati ad azioni/ disattenzioni dell’uomo) associato alla necessità di individuare nuove modalità esistenziali capaci di trascendere tale critica congiuntura. L’autore sottolinea quindi come, con altri colleghi, avesse evidenziato la necessità di mobilitare e integrare ambiti disciplinari diversi e di recuperare il ruolo dei determinanti culturali (transculturali) nelle strategie della cura. In questo contesto si situa l’inizio della pandemia, evento di fatto ricorrente nella storia umana e sempre denso di valenze biologiche, psicologiche e sociali. La pandemia nel suo manifestarsi, rende di fatto evidenti alcune criticità strategiche e organizzative (risposte ospedalocentriche, limite dei piani di prevenzione, vulnerabilità di sistemi fragili come le RSA per anziani, difficoltà nell’affrontare l’inevitabile correlato socio-economico, ecc). L’autore elenca quindi una serie di cricità commentandole negli effetti, ma anche soprattutto, in modo costruttivo, effettuando proposte relative ad un possibile cambio di senso, di visione e di strategie operative.

Giuseppe Corlito propone una riflessione sugli effetti che un uso massivo delle tecnologie elettroniche produce sulla salute psichica. In particolare considera il tema dell’ “Internet Addiction”, considerando che se pure non si dispone di studi abbastanza ampi da poterne derivare fondate metanalisi, è possibile rilevare studi che evidenziano una correlazione tra uso di Internet durante la pandemia e comportamenti additivi. In relazione a ciò, l’autore sottolinea l’importanza di considerare attentamente gli stili di vita, inclusi quelli legati all’uso di internet, e di limitarne l’esposizione soprattutto nei soggetti più giovani e più a rischio.

Marco Bacci, Mauro Mancuso e Laura Abbruzzese considerano i correlati neurobiologici dell’infezione da virus SARS-CoV-2, evidenziando come vi siano crescenti evidenze di un frequente coinvolgimento del sistema nervoso periferico (poliradicolonevriti di varia gravità) e del sistema nervoso centrale (vertigini, cefalea, ageusia ed anosmia) e siano segnalati anche casi di encefalite e ictus. Gli autori riportano dati della letteratura che segnalano sintomi neurologici in circa l’84% dei casi, il 33% dei quali presenterebbe anche alterazioni neuropsicologiche come disorientamento, disturbi dell’attenzione e disturbi della memoria. I sintomi neurologici sembrerebbero essere legati sia agli effetti diretti del virus sul Sistema Nervoso Centrale, sia alla malattia immuno-mediata post-infettiva, ipotizzando uno specifico tropismo cerebrale, in analogia con le precedenti infezioni SARS-CoV-1 e MERS-CoV. L’insorgenza dei deficit neurocognitivi nel COVID-19 quali disturbi attentivi, mnestici ed emotivi sembrerebbe correlata ad un maggior coinvolgimento nella risposta infiammatoria di aree limbiche, ippocampo e gangli della base. Nel determinare il deficit cognitivo, è inoltre ipotizzabile anche un ruolo significativo dell’ipossia.

In questo contesto, Guido Chiti propone un case-report di encefalopatia ad esordio acuto-subacuto in corso di infezione da SARS-CoV-2, in un soggetto con anamnesi di disturbo bipolare, che in relazione ad un’infezione da COVID-19, asintomatica sul piano respiratorio, ha presentato sintomi neuropsichiatrici correlabili ad un possibile coinvolgimento selettivo del microcircolo cerebrale a verosimile eziopatogenesi autoimmunitaria, con una evoluzione in conclamato decadimento cognitivo. L’autore evidenzia come l’infezione da SARS-CoV-2 costituisca una malattia multi-sistemica che può coinvolgere anche cuore, reni, fegato, sistema vascolare e nervoso, verosimilmente in relazione alla forte affinità del virus per il recettore umano dell’ACE2 e che può anche associarsi a sintomi psichiatrici (tra cui agitazione psicomotoria, confusione mentale, abulia, catatonia e mutismo acinetico), ponendo quindi tra l’altro problemi diagnostici differenziali.

Sara Campanile e Nadia Mazzetti considerano nel loro contributo, le conseguenze della pandemia sulla salute mentale degli adolescenti, nel territorio di Prato, evidenziando come negli ultimi mesi vi sia stato un aumento dei nuovi accessi per urgenze psichiatriche e in particolare per disturbi ansioso-depressivi con ideazioni e tentativi suicidari, in linea con il trend nazionale ed internazionale. In questo contesto le autrici considerano come le problematiche e le limitazioni Covid-correlate abbiano inciso notevolmente su un’età dove si realizzano importanti cambiamenti e trasformazioni (nel passaggio verso l’età adulta) sia a livello psicologico che neurobiologico. Viene quindi indicata la programmazione di un progetto di prevenzione e intervento precoce, da realizzare in rete con i Servizi del Territorio, che prevede il coinvolgimento diretto dei ragazzi per rilevare vissuti e aspettative e per formulare strategie di intervento.

Mauro Camuffo, Maria Maddalena Acchiappati, Antonella De Luca, Lucia Radice, Gian Paolo Sammarco, Francesco Toninelli e Giulia Valvo propongono un’indagine relativa alla valutazione della soddisfazione dei genitori relativa ai Servizi UFSMIA Grosseto - Amiata Grossetana - Colline Metallifere, utilizzando il questionario OSS-cam, proposto a 110 genitori/coppie di genitori, nell’arco di 45 giorni, nel periodo pandemico. Si sottolinea in particolare la necessità di considerare gli aspetti considerati più critici (minore soddisfazione espressa) per agire azioni di miglioramento e in particolare la sensazione, per alcuni genitori, che possa “non esser fatto abbastanza per farli sentire meno soli e più capaci di affrontare le situazioni dei figli”.

Francesco Bardicchia propone una riflessione sull’impatto della pandemia da Covid 19 sul sistema dei Club Alcologici Territoriali, considerando come di fatto l’emergenza sanitaria abbia evidenziato le criticità delle “apparenti certezze” su cui avevamo organizzato l’idea di salute, sottolineando piuttosto l’importanza degli stili di vita e delle reti di comunità. Relativamente ai Club, quelli che hanno resistito durante la pandemia, nella maggior parte dei casi si riuniscono attraverso i video incontri delle piattaforme online, anche se non possiamo pensare, sottolinea l’autore, che in futuro gli incontri virtuali possano sostituire il clima empatico vissuto negli incontri in presenza.

Paolo Mandolillo e Augusto Iossa Fasano effettuano considerazioni psicodinamiche sul tema del colloquio clinico da remoto, evidenziando come questo costituisca una strategia necessaria per mantenere interventi di prevenzione, diagnosi e trattamento in epoca di pandemia e come però le caratteristiche del setting da remoto modifichino di fatto la qualità dell’interazione terapeutica. In questo contesto, sostengono gli autori, si determina un mescolanza complessa di prossimità e distanza, di presenza e assenza, di realtà e fantasia, che favorisce l’interconnessione tra mondo interiore e realtà esteriore e spazi di regressione, elementi cui il clinico deve prestare particolare attenzione.

Maurizio Fioravanti propone ulteriori considerazioni relativamente al concetto di “nuovo inizio”, proseguendo il discorso iniziato nel precedente numero della nostra rivista. L’autore riflette su come, in realtà, gli individui che costituiscono il popolo che va formando la sua opinione nel contesto pandemico, non esercitano di fatto i diritti individuali loro attribuiti dall’ordinamento costituzionale in relazione ad un’appartenenza comune, né mostrano capacità di generare un nuovo ordine politico, bensì esprimono la volontà di una “moltitudine”, che “non è soggetto”, ma soltanto un insieme di interessi organizzati, pubblici e privati. L’autentica necessità di un “nuovo inizio” deriva piuttosto dall’imprescindibile esigenza di definire un nuovo ordine sociale che includa i temi fondamentali dei diritti sociali, della salute, dell’ambiente, dell’istruzione, considerando inoltre come spesso, nel contesto pandemico, la cura psichiatrica debba orientarsi su sofferenze essenzialmente a carattere sociale.

Infine Giandomenico Dodaro riflette sulla responsabilità politica e penale dei governanti nel controllo della pandemia da Covid-19, osservando come la pandemia abbia fatto emergere criticità strutturali del Sistema Sanitario Nazionale, ma anche come la natura pubblica del Servizio Sanitario abbia consentito, a livello nazionale, scelte organizzative finalizzate a rafforzare l’intero sistema delle cure con tempestivi investimenti di strumenti e personale. In questo contesto è però emersa anche la limitatezza delle risorse disponibili, con sullo sfondo la tragica necessità di “scegliere” chi ha più opportunità e necessità di essere salvato. È quindi emerso anche l’interrogativo se i vertici, amministrativi o istituzionali, dello Stato, delle Regioni o delle Aziende Ospedaliere possano essere chiamati a rispondere in termini colposi, di specifiche scelte organizzative attuali o pregresse. Di fatto però, sostiene l’autore, la complessità dell’imputazione colposa in questo ambito, induce alla massima cautela, spostando piuttosto l’attenzione sulla definizione e modalità di soddisfazione dei bisogni di cura.