Volume 21 - 18 Dicembre 2020

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A NEW BEGINNING

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Non avrei mai immaginato di proporre un mio scritto ad una rivista di studi psichiatrici. Nel mio immaginario la psichiatria studia la patologia estrema, il distacco, il disordine, la sovversione. Io come giurista studio l’ordine, la pacifica associazione tra gli uomini, mentre immagino il caso psichiatrico come qualcosa di estremamente individuale. L’importanza della psichiatria oggi sta proprio in questo, nell’essere la società contemporanea una non-società, priva di tessuto connettivo, di solidarietà. Una società in cui si chiede agli individui solo questo: non invadere le sfere altrui. Una società dove vi sono solo norme di condotta, che pongono divieti, e mai norme di scopo, che invece attivano azioni comuni. Una società in cui nessuno ti chiede di condividere, di aderire, di essere parte di un progetto e tutti ti chiedono di rispettare i diritti altrui. Una società in cui vi sono solo diritti individuali, e mai doveri collettivi.

È evidente che una società di questo tipo è un focolaio continuo di casi psichiatrici. È la modernità in quanto tale probabilmente la genesi prima di questo focolaio, quando si è prodotta la grande illusione di una società senza solidarietà. Si è sostituito alle antiche connessioni territoriali lo Stato, ma lo si è fatto malamente. Lo si è visto in questi ultimi mesi, quando molte vite individuali si sono sentite compromesse perché colpite o minacciate da un virus. Percepisco e definisco questa situazione come sindrome dell’abbandono. Purtroppo molte persone hanno vissuto ed introiettato tale situazione. In una società con le caratteristiche di cui abbiamo sommariamente detto, dove tutti vivono al limite dell’abbandono, il virus ha fatto esplodere nel profondo la sensazione che tutti viviamo , quella di essere soli.

Non ho nulla da proporre. Ma sono sicuro che purtroppo raccoglieremo i cocci di quel che è accaduto per lungo tempo. E che dovremmo organizzarci a questo proposito. Perché ci sono vicino a noi e tra di noi tante esistenze da riprendere, e non solo fabbriche da riaprire. Nella letteratura politica e giuridica europea il sovrano diviene tiranno, giustificando l’azione di resistenza contro di lui, quando manca al suo primo dovere: quello di proteggere le vite dei sudditi, e di non lasciarli soli di fronte alla minaccia, al pericolo. Questo è ciò che è accaduto in questi mesi, qui da noi. Ma non solo. È accaduto anche che si è rivelato il lato minaccioso della globalizzazione. Il fatto che il contadino siberiano, l’operaio giapponese, o il banchiere londinese, abbiano per la prima volta nella storia avvertito quasi simultaneamente un pericolo grave per la propria esistenza, dovrebbe farci capire che il carattere universale di questo fenomeno impone soluzioni al di là dello Stato nazionale. Se accadesse di nuovo, e di nuovo ci facessimo cogliere di sorpresa, sarebbe davvero imperdonabile.

Infine, una piccola riflessione sul concetto di “new normal” che alcuni improvvisati concionatori di presunte folle televisive stanno propinando. Se per “normal” intendiamo il legittimo desiderio di ognuno di ritornare alle consolanti abitudini di prima, del pre-covid, possiamo accettarlo, ma a condizione che il “new” sia davvero la parte più sostanziale della proposta, e che prevalgano nettamente gli elementi di discontinuità. Ma allora, perché non dire fino in fondo la verità? Che non abbiamo più bisogno di un qualche “normal”, ma solo di un po' di coraggio? E soprattutto di un NEW BEGINNING?