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La Divisione di Psichiatria del Santa Maria della Scala: una storia mai raccontata

Autore


Riassunto

L’autore racconta la nascita e la breve vita della Divisione Ospedaliera di Psichiatria che ha lavorato a Siena, presso l’Ospedale Santa Maria della Scala, dal 1972 fino all’approvazione della riforma sanitaria (dicembre 1978).

Lo fa soprattutto attraverso l’esame dei documenti ufficialmente emessi del Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale Santa Maria della Scala ed ufficialmente pervenuti ad esso in quegli anni (1970 – 1981) ed anche attraverso ricordi personali, avendo lavorato in quella Divisione fin dal 1975.

Il ruolo di quella piccola compagine, “schiacciato” tra i due colossi dell’assistenza Psichiatrica di quegli anni a Siena e cioè l’Ospedale Psichiatrico San Niccolò e la Clinica delle Malattie Nervose e Mentali dell’Università, diventò improvvisamente centrale con la legge 180 del 1978, venendo identificata come unico Servizio Diagnosi e Cura dell’intera Provincia di Siena e di fatto unico presidio in grado di accogliere i Trattamenti Sanitari Obbligatori.


Summary

The author tells the birth and brief life of the Psychiatric Hospital Division of Siena in Santa Maria della Scala Hospital: from 1972 to the approval of the health care reform in December 1978.

The author examines especially official documentation issued and received by the Board of Directors of Santa Maria della Scala Hospital in that period (1970-1981), and he also brings his own memories, because he has been working in the Psychiatric Hospital Division since 1975.

The role of the small team working in the Division had been “crushed” between the two giants which had worked in the psychiatric service in those years, San Niccolò Psychiatric Hospital and the University Clinic of Mental Diseases. All of a sudden in 1978, with the law n.180, the Division became central: it was the only diagnosis and care service in the province of Siena, and in fact the only health post able to accept mandatory medical treatments.


Scopo di questa comunicazione è descrivere l’evoluzione dell’assistenza psichiatrica a Siena nel periodo precedente e subito successivo alla riforma 180, incentrando il racconto sulla Divisione ospedaliera di Psichiatria che nacque nel 1972 e visse formalmente fino al 1981 quando, istituito il Servizio Sanitario Nazionale, confluì insieme al resto del personale psichiatrico presente nel Servizio Sanitario Nazionale.

È una storia mai raccontata e con questa piccola relazione cerco di evitare quell’oblio cui pare destinata, pur avendo avuto un certo ruolo in quel tempo così denso di cambiamenti.

Identifico questo periodo, per una convenzione del tutto personale, nel ventennio 1961 /1981.

Perché queste due date?

Nel 1961 comincia l’opera di Basaglia a Gorizia e da lì individuiamo l’emergere di una lotta antiistituzionale che dopo un percorso durato un po’ meno di vent’anni raggiunge lo scopo della chiusura degli ospedali psichiatrici.

Nel 1981 si può invece considerare avviato quel processo di fusione tra le varie agenzie psichiatriche esistenti sul territorio senese che la più generale riforma sanitaria rese necessaria.


Senza volermi dilungare troppo,voglio però svolgere due premesse generali prima di passare al racconto della storia in oggetto.

La prima mi serve a inquadrare nell’ambito nazionale quegli anni e a far presente che non ci fu solo Basaglia ma anche molti altri che operarono in altri contesti a sostenere quelle idee che germinarono in varie parti d’Italia conquistando favori e consenso sempre maggiori.

Per esempio, a Perugia Brutti, Scotti e Manuali con il sostegno di Rasimelli come politico, a Parma soprattutto il politico Tommasini che portò Basaglia a Colorno, ma anche Varese, poi Reggio Emilia con Jervis, Arezzo con Pirella. Queste sono tutte tappe di quella lunga marcia che poi approdò in un modo quasi imprevisto alla legge 180. Questo movimento, forse minoritario ma non di una sola persona, parte nel 1961 e si sviluppa negli anni 60 e 70. È pertanto ingiusto dire che Basaglia sia stato l’unico a smuovere le coscienze in quegli anni che rischiano di rimanere l’unica vera stagione riformista nella politica italiana fino ad ora.

Ma come sempre accade una narrazione semplificata, in questo caso “basagliocentrica”, sembra rispondere a maggior linearità ignorando tutto il resto!


La seconda premessa è più tecnica. Si deve infatti ricordare che in quegli anni si andarono confrontando due scuole di pensiero rispetto alla gestione del problema manicomio. La prima, a cui inizialmente aderiva lo stesso Basaglia, cercava di riformare dal di dentro l’istituzione manicomio, umanizzandola e rendendola vivibile. Si ispirava al modello della comunità terapeutica ideato in Inghilterra da Maxwell Jones che tendeva ad una diffusa democratizzazione e partecipazione ai processi decisionali coinvolgendo in questo anche i degenti. “L’Istituzione Negata” di Basaglia riporta molti verbali di simili riunioni con pazienti, infermieri e medici.

La seconda scuola di pensiero che emerse un po’ dopo, per esempio a Perugia ma non solo, e finì poi per “vincere”, fu invece quella che riteneva che non si potesse riformare ormai nulla e che l’unica scelta non potesse che essere quella di chiudere in maniera definitiva l’ospedale psichiatrico, magari “svuotandolo” dal territorio.


Per venire a Siena, agli inizi dei Sessanta la Psichiatria era una disciplina un po’ trascurata. Lo si può dire con qualche ragione visto che i titolari della cattedra di Malattie Nervose e Mentali che insegnarono a Siena in quegli anni furono tutti più neurologi che psichiatri. Gomirato (fino al 1962), Floris (fino al 1969) e poi Fieschi (che entra nel 1970 e rimane fino agli anni Ottanta), infatti, furono tutti grandi neurologi, due di loro destinati a approdare alla cattedra di Roma dopo quella di Siena. Svilupparono, quindi, studi e ricerche indirizzate ad argomenti neurologici ma poco contribuirono alla causa della Psichiatria.

Anche nella omonima scuola di specializzazione l’unico vestigio di una cultura psichiatrica manicomiale era rappresentato dall’insegnamento di Criminologia tenuto dal prof. Reale, in quegli anni direttore del San Niccolò. Questo indirizzo del resto era il frutto di una scelta di anni precedenti che, non solo a Siena naturalmente, divise insegnamento e ricerca, affidati alla parte universitaria, dalla gestione del manicomio, avviata così a mera conduzione dell’esistente.

Va inoltre tenuto presente che in quegli anni il frazionamento del sistema sanitario in varie componenti tra loro indipendenti comportava spesso la presenza di doppioni, sovrapposizioni e comunque nessuna coordinazione tra istituzioni che si occupavano delle stesse cose.

La situazione delle agenzie operanti nella Psichiatria senese in quegli anni era pertanto la seguente:


È in questo panorama che nel 1970 il CdA dell’ospedale di Santa Maria della Scala comincia a interrogarsi sull’opportunità di istituire una Divisione di Psichiatria autonoma dalla Clinica delle Malattie Nervose e Mentali. Avrebbe funzionato con uno schema a quei tempi consolidato per molte altre specialità, cioè direzione di un universitario, tutto il resto del personale di provenienza ospedaliera.

Il Rettore del Santa Maria della Scala, Gino Bianciardi, pertanto scrive al titolare della cattedra prof. Cesare Fieschi, chiedendo un suo parere sul progetto che vedrebbe la creazione di una struttura dipartimentale delle discipline affini alla neurologia, tra cui naturalmente la Psichiatria. Ecco come risponde Fieschi per quanto riguarda la parte psichiatrica:

“La creazione di una autonoma Clinica o Divisione psichiatrica, a mio parere, avrà una ripercussione positiva sull’assistenza ad un certo tipo di malati psichici, nella misura in cui comporterà l’istituzione di servizi moderni: Day Hospital di 15-10 posti-paziente (con risparmio anche di personale, che deve però essere qualificato) a spese del reparto di degenza che deve essere destinato preferenzialmente ai pazienti di fuori città; spazio e personale ausiliario per terapie occupative, psicoterapia individuale e soprattutto di gruppo e della famiglia, servizio di psicologia clinica affidato a competenti che affianchino lo psichiatra, servizi ambulatoriali che permettano di attuare il concetto di follow-up longitudinale del paziente isolandolo dal suo ambiente per il minor tempo, in modo tale che il momento di ricovero ospedaliero venga ridotto al minimo; collegamento con i servizi esterni di igiene e profilassi mentale.
In tal modo la psichiatria acquisterà uno sviluppo dottrinale e assistenziale autonomo non solo nominalmente, mentre i pazienti che si giovano dei trattamenti tradizionali farmacoterapici e biologici in genere, verranno preferibilmente trattati nel reparto di Malattie Nervose e Mentali”.


È una posizione dunque favorevole e piena di spunti interessanti che la rendono quasi attuale ancor oggi. Sotto questo autorevole auspicio prende così le mosse il lungo iter che porterà alla creazione di una Divisione ospedaliera di Psichiatria nel Santa Maria della Scala. L’iter sarà non solo lungo, ma anche fortemente travagliato, perché nel corso del tempo la persona identificata a guidare il reparto, il prof. Luciano Agostini, trova una sistemazione più confacente rientrando a Perugia nella Clinica Universitaria, lasciando così priva di una guida ma soprattutto di un pungolo di interesse tutto l’iter. Che si conclude nell’aprile del 1972 data in cui ne viene deliberata l’istituzione e l’inizio dell’attività con quaranta posti letto (19 uomini e 21 donne), un aiuto facente le funzioni di primario, tre assistenti ed un borsista, oltre a una ventina di infermieri professionali, tutti provenienti da altri reparti dell’ospedale generale.

Personalmente entro a far parte della squadra nel maggio del 1975.


Caratteristica programmatica dell’attività era quella di ispirarsi alle pratiche della comunità terapeutica così come in Inghilterra si era venuta formando nell’immediato dopoguerra con le esperienze di Bion, Maxwell Jones ed altri. E cioè:


Tutto questo era naturalmente miscelato con una dose generosa di classica routine ospedaliera con visita al letto come se ci si trovasse in un normale reparto ospedaliero, ma non comprese mai pratiche di contenzione.

Questo creò nel personale un discreto spirito di gruppo e forse la sensazione di essere un po’ diversi dal resto dei reparti dell’ospedale generale tanto da sentire difficile l’integrazione nella vita ospedaliera più ampia. Ci sentivamo orgogliosamente diversi e questo ci portava ad essere, a volte, altezzosi e poco graditi dagli altri colleghi non psichiatri con cui sarebbe stato invece opportuno collaborare per trovare le giuste alleanze.

Infatti, la percezione che si aveva di quel gruppo all’interno dell’Ospedale era di scarsa utilità, di ancor più scarsa importanza “politica”, spesso un po’ sbandato e sempre nell’occhio della critica per episodi relativi ai nostri pazienti che suscitavano allora scalpore negativo, uno scalpore che ripensato oggi appare francamente eccessivo.

C’è un corposo carteggio, di cui vi risparmio i dettagli, che segue sempre lo stesso schema: proteste verso la Direzione Sanitaria per qualche episodio che vede al centro i nostri malati, richiesta di chiarimenti, chiarimenti, ammonizioni e rimbrotti.

Prima di raccontarvi uno degli episodi che più fecero scalpore, devo dire che il potente Segretario Generale dell’Ospedale, dr. Gimo Civai, si era sempre dichiarato contrario all’istituzione della Divisione di Psichiatria, tanto che, non avendo diritto di voto nel CdA, volle però che fosse verbalizzata in maniera chiara la sua contrarietà al progetto.

Immaginatevi dunque quello che successe quando un giorno, dopo la sosta per il pranzo, tornando nel suo imponente ufficio collocato nei bassifondi si trovò di fronte un degente del nostro reparto comodamente seduto nella sua poltrona davanti a quel mare di carte, tutte importanti. Dopo un attimo di sconcerto chiede al soggetto: ma lei chi è, che fa qui? E quello con calma gli risponde “aspetto Santa Caterina”.

Gli uffici erano in effetti collocati molto vicino ai locali di Santa Caterina della Notte ma è certo che la Santa non sarebbe mai arrivata!

All’episodio seguirono lettere di vibrata protesta.

Il tentativo di cancellare l’esperimento della Divisione rimase per molti anni una minaccia sempre presente. Il nostro gruppo scontò in sostanza lo scotto di aver introdotto all’interno del compassato ospedale di Santa Maria della Scala la presenza di tematiche psichiatriche gravi e di non facile gestione.

Quindi l’esistenza della Divisione rimase per un certo verso tollerata e mai fatta veramente decollare per via di una cronica mancanza di personale. Così nel frattempo la compagine della divisione si stava spengendo pian piano. Infatti, alcuni medici, vista la mala parata, trovarono altre strade e l’organico rimase ancora più povero. Faccio presente che per un periodo la Divisione andò avanti con solo due, tre assistenti, mentre l’aiuto che aveva avuto funzioni di responsabile si era spostato al neonato Centro di Igiene Mentale. La situazione era oggettivamente difficile.

Ma nonostante tutto il lavoro continua e nel maggio del ‘78 arriva la legge Basaglia che cambiò totalmente la nostra posizione. Ricordo di quei giorni riunioni lunghissime e fumosissime per la lettura del testo della nuova legge e la sensazione di essere improvvisamente, e quasi nostro malgrado, diventati centrali nel nuovo panorama. Infatti, dove si poteva ipotizzare che si svolgessero i nuovi ricoveri ed ancor più i famigerati TSO se non presso la nostra Divisione? Certo non all’OP per ovvi motivi, ma neppure in Clinica Universitaria che mai si prestò ad una collaborazione su simili temi. E chi avrebbe impostato tutta la nuova assistenza territoriale?

Quindi imprevedibilmente la cenerentola diventava importante, ma risultava altrettanto evidente che con l’organico presente poco si poteva fare. Ancora più chiaro era il fatto che il personale, medico e infermieristico, che necessitava per colmare quelle evidenti lacune non poteva esser preso che laddove esisteva in abbondanza, cioè all’OP, soprattutto dopo che la riforma sanitaria che istituiva il Sistema Sanitario del dicembre ’78, aveva reso possibile questo travaso.

Cominciò allora un periodo di forte conflitto perché in realtà nessuno dal San Niccolò voleva uscire. Pur essendoci avanguardie interne al manicomio, ognuno voleva muoversi in autonomia e nessuno gradiva cambiare sede di lavoro e venire a collaborare con persone sconosciute e per qualche verso temute.

Un primo passo che permise di sbloccare parzialmente i blocchi contrapposti fu la creazione di un gruppo (la famigerata “poule psichiatrica”) che gestisse le emergenze psichiatriche (frequenti) nei restanti reparti del Santa Maria seguendo lo slogan che “il primo territorio è il resto dell’Ospedale”. In questa operazione, per nulla facile, furono coinvolti i primi infermieri dell’OP che venivano scelti con una curiosa modalità: fatte le graduatorie per titoli venivano scelti, ma sarebbe meglio dire “condannati”, quelli che si trovavano agli ultimi posti.

Con quale entusiasmo si può capire!

Il punto di svolta fu forse quando un medico dell’OP chiese, in piena autonomia, di venire al Santa Maria, segnando l’inizio di una collaborazione buona che andò via via sempre aumentando. Molti di quelli che erano già arrivati tranquillizzavano coloro che erano in procinto di essere “spediti” e pian piano l’atmosfera cambiò.

La fusione con l’OP non fu mai facile ma segna il suo apice nella delibera del 19 gennaio 1984 quando fu approvata la proposta di costituire tre équipe che si sarebbero suddivise la zona Senese ed a capo delle quali furono indicati i dottori Casi, Sorgonà e Vasconetto. IL reparto (ridotto intanto a 15 posti letto) che nel frattempo cominciava ad accogliere TSO sempre più frequenti era a solo carico dell’équipe diretta da Vasconetto, équipe che era l’erede, sia pure con i nuovi innesti, della Divisione di Psichiatria.


Qualcuno ebbe a dire che a Siena era mancato un Basaglia e che questo motivava ritardi e lentezze. In realtà l’analisi storica dimostra come solo la collaborazione tra tecnici e politici ha dato risultati e dove funzionò si fecero progressi. Vorrei ricordare che se Basaglia, Jervis, Pirella, Ongaro, Schittar, Slavich, Manuali, Scotti, Brutti, Comba, Casagrande sono gli eroi (e le eroine) psichiatrici di questa storia, non sarebbero mai riusciti a combinare molto senza l’appoggio di Rasimelli, Zanetti, Mimma Vallini, Tommasini, Benigni, cioè gli eroi (e le eroine) della politica, cui va dato un merito almeno pari ai precedenti.

A Siena forse mancò un Basaglia ma certamente mancò un serio appoggio politico. Qui il partito Comunista non scelse i malati ma scelse di stare dalla parte degli infermieri, dei sindacati, di conservare il più possibile. Del resto, diciamolo, anche a livello nazionale l’intero partito Comunista ebbe questo atteggiamento e coloro che tra i comunisti si impegnarono su questo versante (ricordiamoci che non tutti quelli che si impegnarono nella lotta antiistituzionale venivano da quel partito), quasi tutti, si giocarono la carriera politica.

Dunque, a Siena mancò in realtà un politico che credesse nelle nuove idee e che non si limitasse a difendere l’esistente.

Un amico che conosceva personalmente Vittorio Meoni (di gran lunga il migliore comunque tra i politici) e che era come me laureando interessato alla Psichiatria, mi invitò ad un pranzo informale con lui. Durante il quale era nostra intenzione avere qualche dritta sugli orientamenti complessivi della politica sanitaria senese. Meoni fu spietato e ci disse: lasciate perdere la Psichiatria, a Siena non farete mai carriera, ed usando una colorita espressione, aggiunse: “all’OP di primari c’è da darne ai maiali!!” L’amico cambiò strada, io invece, testardo, continuai. Non ho fatto grande carriera ma non me ne sono mai pentito.

Mi avvio a concludere e spendo le ultime parole per ricordare che nel luglio del 1983 viene fondata la cooperativa di solidarietà (questa la vecchia dizione prima della 381) “La Proposta”. Presso lo studio del notaio Salerno si riuniscono 17 persone che volontariamente decidono di dare vita ad una organizzazione che cercherà di far lavorare pazienti psichiatrici e giovani disoccupati. Quel gruppo risulta così composto: 5 soggetti svantaggiati, 3 medici (due provengono dal Santa Maria della Scala ed uno dall’Op), 2 assistenti sociali provenienti dall’Amministrazione Provinciale e sette infermieri tutti ex OP. Il gruppo pare testimoniare che la difficile fusione degli insiemi precedenti, spesso contrapposti tra loro, è in qualche misura ormai compiuta. Certo non per tutti e non a tutti i livelli ma l’intreccio è ormai solido.

La cooperativa, come saprete, esiste ancora ed anche se molti dei fondatori si sono ormai allontanati, la sua lunga sopravvivenza dimostra che era partita da buone radici.


Riferimenti

BASAGLIA F (a cura di), L’Istituzione Negata, Torino, 1968 Einaudi.

BASAGLIA F (a cura di), Che cos’è la Psichiatria, Torino, 1973 Einaudi.

FOOT J, La “Repubblica dei Matti”, Milano, 2014 Feltrinelli.

Documenti ufficiali del Consiglio di Amministrazione dell’Ospedale Santa Maria della Scala relativi all’istituzione della Divisione Ospedaliera di Psichiatria (dal 1970 al 1978) transitati poi nell’archivio generale della Asl Toscana Sud Est – Siena