Volume 17 - 3 Settembre 2018

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La Zampata – un progetto di salute di comunità.
Racconto di un'esperienza professionale

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Poche cose si possono dire con certezza, tra queste, che l'esperienza che andrò a narrare non avrebbe potuto avere luogo senza tre importanti fattori. Il primo è l'eccezionale lavoro dei colleghi che mi hanno preceduto. Il secondo sono le particolari condizioni che, per differenza rispetto a precedenti esperienze lavorative operate in altri contesti, mi hanno permesso di entrare in contatto con un certo modo di pensare e agire per il benessere psichico. Il terzo, infine, è la lungimiranza di due dirigenti che mi hanno lasciato con fiducia la libertà di muovermi per realizzare le azioni che andrò a descrivere.


Il progetto si chiama "La Zampata", un torneo di calcio a cinque rivolto all'inclusione di tutte quelle persone che, per diverse ragioni, con difficoltà entrano nei circuiti delle sfide sportive o direttamente ne rimangono del tutto esclusi. L'ambito di intervento è quello della prevenzione (secondaria) del disagio psichico, che si realizza in progetti rivolti alla salute della comunità allargata.

Potrebbero esserci molte direttrici teoriche utile a introdurre questo scritto, tuttavia si sceglie di posticiparli a ulteriori approfondimenti per rimanere all'interno di una proposta di lettura il più possibile narrativa e descrittiva. Nondimeno può essere utile informare il lettore circa una questione preliminare. Il progetto si sostanzia in una prassi professionale che ha radici nel pensiero pedagogico della filosofia dell'educazione e si declina secondo la metodologia della Ricerca-Azione. Il presupposto è l'assunzione, da parte del ricercatore pedagogico, di un particolare sguardo di fronte alle tematiche di salute (anche di quelle più estreme di disagio e sofferenza); uno sguardo educativo della cultura, in quanto, tutti sistemi che compongono una società complessa (da quello particolare come la famiglia, a quelli articolati formali e/o informali, le Istituzioni) sono sempre dei sistemi formativi. L'educare significa perciò immergersi in un processo di osservazione, azione e riflessione, che offre e facilita una ricchissima e incessante possibilità interpretativa circa l'apprendimento e l'autoapprendimento dei particolari dispositivi e sistemi che, come persone, ci guidano nel conoscere, dare senso al mondo e che direzionano le personali azioni dentro la società.

Poiché la prassi pedagogica così intesa, cioè quale scienza dei processi formativi (1), ha incontrato una Istituzione Pubblica di Salute Territoriale che predispone spazi nei quali insieme alla comunità poter "fare significato" (comunicare, narrare, rinegoziare, ricollocare la comprensione di ciò che so del mondo) e costruire quindi nuove realtà (secondo il principio costruttivista per cui la realtà si crea e non si trova), si sono potute realizzare le azioni come quelle che si andranno a descrivere.

Il Servizio Unità Funzionale Salute Mentale Adulti di Grosseto (UFSMA) infatti promuove incisivamente un approccio alla cura della sofferenza psichica di questo tipo: una cura territoriale, aperta alla collaborazione con gli attori della comunità per trovare nuove strategie di risoluzione ai problemi di salute. Incoraggia e si impegna in iniziative di prevenzione primaria e promozione della salute mentale nei giovanissimi agendo principalmente nella costituzione di una solida coalizione di comunità; aderisce e promuove strategie sperimentali di setting finalizzati alla gestione delle problematiche cliniche transculturali (2). "Uno dei nostri riferimenti generazionali, come psichiatri attivi da almeno vent'anni nel Servizio Pubblico di salute mentale, è che non si possa pensare e parlare di salute mentale se non come di salute di comunità, dove la comunità è intesa come protagonista fondamentale, destinatario, soggetto e risorsa di ogni processo terapeutico. L'obiettivo, in un'ottica di salute mentale di comunità, diventa incidere sull'organizzazione sociale e utilizzare le risorse per produrre salute mentale[...]” (3).

Ciò che può interessare il lettore di questa rivista può forse essere la processazione dei vari momenti con cui ha preso forma il progetto, che si concretizza principalmente con il supporto di una educatrice professionale del Servizio di salute mentale adulti e arriva a coinvolgere circa cento persone di un piccolo e popoloso capoluogo di provincia toscano.

L'idea del progetto inizia a germogliare nel 2016, quando sono entrata in servizio presso l'UFSMA di Grosseto. Supportando le attività del gruppo calcio associazione “Atletico Maremma”(4), ho quindi iniziato via via a rendermi conto che una grossa difficoltà, manifestata come un problema dagli stessi utenti - associati, consisteva ancora nel trovare squadre contro cui potersi misurare in degli incontri sportivi. Inoltre, giocando a calcio nel mio tempo libero serale in un gruppo di donne, ho rilevato lo stesso problema. Gradualmente allora il mio punto di vista si è spostato ad osservare che, più che delle caratteristiche interne al gruppo o ai gruppi, poteva esserci la possibilità che vi fosse una vera e propria caratteristica territoriale per la quale la comunità sociale difficilmente offre spazi sportivi con livelli di prestazioni e/o di accesso adeguati a tutte le persone che fanno parte della comunità stessa. In una piccola città probabilmente questo fenomeno è più evidente. Allargando lo sguardo oltre i confini provinciali, mi sono interrogata su quale fosse la proposta degli Enti di promozione sportiva deputati a includere il maggior numero di persone che abitano un territorio. Anche nelle grandi città, per quanto riguarda il settore calcio in Toscana, ad esempio, gli Enti organizzano tornei non agonistici che tuttavia hanno al loro interno un alto grado di competitività sportiva (e questo è un fattore inibente per alcune persone), oppure, hanno onerosi costi di accesso. I tornei memorial, di beneficienza, si svolgono in una o due giornate così che non si debba adempiere a tutte le procedure sanitarie richieste quando si organizzano tornei scanditi da classifiche. Per prassi, quindi, i tornei organizzati per includere la disabilità fisica o intellettiva, sono tornei che si svolgono nell'arco di una giornata e che, altrettanto velocemente, esauriscono la loro portata di integrazione. Lo stesso accade per la sofferenza psichica, per le persone richiedenti asilo e via dicendo. In breve, quello che ho rilevato, è che ciò che in larga misura viene praticato dalle agenzie territoriali che si occupano di Sport, è rendere l'inclusione (dell'escluso) un momento particolare, che rientra nel tempo straordinario piuttosto che in quello ordinario del vivere quotidiano. Cosa sono una o due giornate di gioco se prendiamo a riferimento un anno? È possibile considerare questi tornei di sensibilizzazione degli indicatori di accesso alla pratica sportiva per una comunità? A queste domande mi sono risposta negativamente e sono state tali domande che mi hanno motivata ad avviare una riflessione insieme a tutte quelle persone che hanno costruito il torneo "La Zampata", consce che l'omissione di certe pratiche diventa di fatto, anche se non intenzionalmente, una discriminazione operata in modo passivo (5).

Come raggiungere le persone che avrebbero potuto costruire il progetto? A chi rivolgersi? Inizialmente il bacino di contatti è stata la rete degli attori (istituti, agenzie, persone) che collaborano in forma di coalizione permanente con il Servizio di Salute Mentale. La costruzione della "Zampata" si è avviata supportando il presidente dell'Atletico Maremma nel contattare le principali agenzie del privato sociale e i diversi istituti di Grosseto che, come accade per le donne (solo per coloro che giocano in squadre amatoriali, come semplici cittadine non affiliate ad alcuna società sportiva) e la salute mentale, potevano sentire il bisogno di trovare delle squadre contro cui incontrarsi sportivamente. Data la situazione attuale, queste si configurano principalemente nelle squadre di persone richiedenti asilo (6). Due tra le cooperative che si occupano di accoglienza che sono state contattate hanno da subito dato una risposta positiva poiché da tempo rilevavano proprio questo bisogno tra i ragazzi residenti nelle strutture. Inoltre è stata coinvolta un'associazione culturale esperta nella documentazione poiché la documentazione di un progetto è una testimonianza utile a raccontarsi e a proporsi agli altri. I referenti di queste associazioni e cooperative hanno via via coinvolto i loro contatti e allargato la proposta a tutte le altre realtà che potevano essere interessate. Il gruppo di lavoro è cresciuto fino a includere una terza cooperativa che gestisce i centri accoglienza, una comunità terapeutica in cui sono accolti ragazzi che iniziano un percorso di disintossicazione da sostanze psicoattive e un gruppo informale di persone, organizzate in una associazione-rete, impegnate nell'integrazione sociale e nell'antirazzismo.

Un presupposto importante, che ha permesso probabilmente la buona riuscita dell'iniziativa, è stato quello di non considerare le comunità particolari delle escluse "per natura". Ad esempio, la squadra di calcio del carcere di Grosseto ha declinato l'invito poiché già inserita nei tornei calcistici classici; è stata la domanda rivolta alle persone che ha aiutato ad orientarsi. L'intento è stato, in prima istanza, quello di mappare chi nella comunità non riesce a entrare nei circuiti sportivi formali e secondariamente chi, tra questi, fosse interessato a prendere parte all'organizzazione di un torneo. Un altro esempio riguarda la squadra femminile contattata, che non ha aderito all'iniziativa poiché non interessata a incontrarsi in un torneo di genere (prevalentemente) maschile. In sostanza, a tutti questi attori non è stato chiesto di aderire ad un progetto già costituito, ma è stata fatta una proposta facendoli incontrare su un tema comune. Ogni partecipante, solo dopo aver riconosciuto il bisogno come proprio, è diventato un organizzatore. Credo fortemente, infatti, che se nessuna delle persone coinvolte avesse sentito la proposta come una propria esigenza non vi sarebbe stato nessun esito positivo. Lavorare all'interno del settore della prevenzione, della salute di comunità, che si realizza uscendo dall'Istituzione, prevede di muoversi all'interno di un'azione e relazione prettamente pedagogica. Come Istituzione posso fare un'ipotesi di salute partendo dalla presa in carico di un bisogno; successivamente posso solo portare tale istanza (in qualità di rappresentante dell'utenza) nello spazio di un confronto dialogico e creare le condizioni favorevoli per cui coloro i quali nella comunità sentono come propria quell'ipotesi o (possibilmente) una nuova ipotesi formulata possano con le proprie risorse, concretizzarla. Come operatrice della salute Mentale il mio compito (attraverso la specifica previsione di un tempo orario dedicato per il progetto) è stato quello di aiutare gli utenti del Servizio a tradurre il loro problema in una domanda alla comunità, che è stata la scintilla di un movimento. Successivamente ho creato le condizioni favorevoli perché le persone potessero incontrarsi costituendo un gruppo di lavoro, supportando i vari momenti del processo che via via si stava compiendo.

Nella "Zampata", il gruppo di lavoro creatosi (7), conoscendosi, ha sperimentato un clima di fiducia, accoglienza, responsabilità, in cui era manifesto l'intento che non vi fosse una persona accentratrice delle decisioni ma ognuno doveva essere nel gruppo il protagonista. Il gruppo e i singoli non erano strumenti utili all'ottenimento di uno scopo da parte dell'Istituzione, ma potevano e dovevano decidere tempi, modi e possibilità poiché in caso contrario non ci sarebbe stata nessuna esperienza possibile. È stata chiarita la proposta: organizzare un torneo di calcio a cinque con equità di accesso sostanziale, che si componesse di squadre di persone provenienti, in eguale misura, da gruppi formali e informali del Territorio. Circa la messa in campo delle risorse, ogni operatore, via via rapportandosi con il proprio referente, ha indicato quelle che poteva mettere in campo. Per le altre, in difetto rispetto a quelle disponibili, come l'attrezzatura sportiva (i ragazzi richiedenti asilo non possono permettersi di sostenere il costo delle scarpette per giocare, né la cooperativa può farlo al loro posto), la documentazione video e le certificazioni mediche, il gruppo ha deciso, per necessità, di presentare un vero e proprio progetto sportivo di integrazione sociale richiedendo un piccolo finanziamento al Consorzio per l'integrazione dei servizi sociosanitari e socio-assistenziali di Grosseto e provincia. L'Ente di promozione sportiva coinvolto nel progetto ha abbattuto i costi di iscrizione lasciando solo quelli relativi alle coperture assicurative, rimborso arbitri, pulizia spogliatoi.

Nella costruzione del torneo e nella presentazione del progetto, il gruppo di lavoro si è confrontato sulle tematiche etiche-valoriali che intendeva presentare o alle quali tendere; ha costruito nel tempo, incontrandosi nelle riunioni (con cadenza bisettimanale, circa, in base alle necessità, da Novembre ad Aprile e poi per tutta la durata del torneo da Aprile a Giugno), significati comuni e condivisi. Questo passaggio è assolutamente necessario per creare quello spazio di supporto al processo a cui mi riferivo precedentemente. Il confronto sulle tematiche che sottendono le azioni, la costruzione di significati comuni, la creazione di senso, permette al gruppo di muoversi in modo coeso e proporsi nelle proprie manifestazioni in modo congruente; in ogni momento ognuno (come singolo e come componente-gruppo) può spiegarsi e spiegare agli altri perché ha fatto una scelta piuttosto che un'altra, capace di assumersene la responsibilità. Le divergenze vengono considerate utili contraddittori che aiutano alla crescita della complessità, piuttosto che un momento da temere.

Per fare un esempio, un momento importante è stato quello relativo alla scelta del nome da dare al torneo (e alla creazione del volantino per pubblicizzarlo). Molto spesso si parla di tornei "di inclusione sociale", "tornei di integrazione", con nomi che pongono l'accento sull'importanza della differenza come risorsa. Ma non sarebbe forse più utile riflettere sul perché mi trovo nella condizione di dover proporre proprio tali azioni, piuttosto che operare azioni riparatorie di inclusione dell'escluso? Utilizzando lo strumento dell'interpretazione pedagogica in chiave autoformativa, si possono svelare di volta in volta tutti i meccanismi che regolano le spinte e gli equilibri che governano la comunità allargata e rendersi conto del come si occupa, o si propone, o ci si muove verso, una certa posizione all'interno di una scacchiera di istanze sociali e culturali.

Nel torneo La Zampata, si è riflettuto sul fatto che, se tutti gli attori che si occupano e contribuiscono a vario titolo all'integrazione sociale, alla cura delle persone, alla cultura urbana, alla promozione sociale e territoriale, si incontrano per creare spazi di espressione che coinvolgano il maggior numero di persone, in modo particolarmente attento a garantire l'accesso proprio a coloro i quali spesso rimangono esclusi, stanno già compiendo di fatto una inclusione!

L'inclusione diventa un'azione compiuta, incarnata, non solo manifestata nel proprio intento rispetto al ciò che dovrebbe essere. Nel nome del torneo, quindi, perché richiamare temi ad essa riferiti?

L'obiettivo, in questo modo, più che rendere l'escluso un incluso, è dare la concreta possibilità a colui che è escluso, di diventare un promotore di un'azione includente, propositiva per tutta la comunità sociale (torneo economicamente accessibile, dove non governano logiche commerciali, agonistiche, di prestazione, dell'apparire). Aderendo a questo focus interpretativo, si può legittimamente pensare che il vettore riabilitativo non abbia una direzionalità circoscritta verso coloro che partecipano, ma rivolta all’esterno.

Il gruppo di lavoro ha individuato le ragioni per cui l'accesso ai tornei formali è difficoltoso, ovvero per i costi elevati e il grado di competitività; se la prima discriminazione è di natura economica, la seconda rivela un importante vuoto sociale. Infatti la normativa sanitaria rispetto all'attività non agonistica risulta oggi ambigua e interpretabile perché quasi nessun Ente di promozione sportiva (per quanto riguarda la regione Toscana) organizza tornei (arco di tempo prolungato e uso di classifica) non agonistici. La Zampata, quindi, non si oppone (è incontrovertibile il fatto che al progetto ha collaborato in modo sostanziale l'Ente di promozione sportiva), ma si propone quale alternativa possibile. Tutte le persone, giovani uomini, giovani donne, cittadini e non cittadini, che vogliono praticare sport come momento ludico, di festa, non agonistico, ma in cui vi è lo stesso la possibilità di un vero e dignitoso incontro-scontro sportivo possono iscriversi. Il tempo del gioco è prolungato (un mese e mezzo circa) e prevede al suo termine un vinto e un vincitore. Il torneo diventa un progetto di salute di comunità in quanto definisce uno spazio fisico e mentale di espressione per le persone, che ad oggi, per quanto riguarda la pratica di gioco ludico-sportiva, è assente, almeno nel terriotorio considerato.

La possibilità di lavorare a questo progetto mi ha permesso di conoscere delle persone altamente competenti e appassionate del loro lavoro, emotivamente ricche, capaci di rendere tutta l'esperienza un grande gioco del fare insieme. Ho personalmente costruito legami importanti. Ho sperimentato il potere dell'esserci insieme e la leggerezza del compito condiviso. Il torneo attualmente è ancora in corso, quindi non mi è possibile proporre ulteriori riflessioni. Tuttavia può essere utile sapere che tutti i ragazzi delle varie comunità particolari, nelle settimane di attesa tra le partite, si incontrano per allenarsi, che in molti seguono la pagina social in cui vengono pubblicate le fotografie e gli operatori (otto, tra associazioni e cooperative), pensano a possibili momenti conviviali per il dopo torneo e altre iniziative simili di apertura verso la comunità (8). L'intento di coinvolgere squadre informali del Territorio non è stato raggiunto in quanto, su otto squadre partecipanti, solo una è una squadra non organizzata dentro a una istituzione; tuttavia tale obiettivo verrà riproposto per l'edizione 2019.

Questa narrazione non vuole essere una ricostruzione organica e altamente dettagliata; sceglie un focus interno, intimo, circoscrive l'attenzione su taluni passaggi per dar luogo ad una testimonianza, piuttosto che offrire la sintesi di un'esperienza da riprodurre. Le esperienze come questa non possono essere trasferibili o riproducibili da un contesto all'altro e se chi scrive o legge si proponesse di farlo fallirebbe. Tuttavia può essere utile condividere un metodo, se questo ha portato ad esiti rilevanti. Il metodo consiste, principalmente, nel muoversi, nei progetti di prevenzione e promozione del benessere psichico, con l'intento di costruire una coalizione di comunità: la ricerca di una riflessione condivisa con gli attori del territorio che possa tradurre i pensieri in azioni di salute. Nel fare questo, muoversi e pensarsi come professionisti agenti all'interno di una prassi pedagogica di autoformazione. Nel dettaglio i passaggi, visti come momenti circolari di un flusso continuo del fare insieme, si possono riassumere come segue:

  • Osservare la situazione, osservarsi in azione, ascoltare;
  • Definire una ipotesi di salute traducibile in una domanda per la comunità;
  • Contattare le associazioni o altre istituzioni a cui rivolgere la domanda;
  • Definire un tempo e un luogo costante, per la reciproca conoscenza, accoglienza e ascolto per definire le ipotesi di azioni; costruire quindi un ambiente di fiducia;
  • Riconoscersi e riconoscere gli altri quali membri di un unico gruppo di lavoro: costruire significati comuni, un linguaggio di codici condivisi, ridefinire le reciproche aspettative, orientarsi eticamente;
  • Rimanere disponibili (e auspicare) ad una nuova ridefinizione della domanda iniziale;
  • Mappare le risorse disponibili e spendibili;
  • Declinare il progetto in azioni compiute;
  • Prevedere spazi per riorientare l'agire, spazi incontro, di monitoraggio;
  • Orientare lo sguardo verso la collateralità dell'intento (gli effetti di risonza risultanti); allargare la rete; aprire a possibilità future per non collassare sul momento presente come unica e irripetibile esperienza;
  • Rimanere in un atteggiamento di curiosità, stupore, divertimento, serenità, interesse per l'altro e per quello che accade;
  • Godere dei risultati;
  • Mantenersi quale riferimento privo di ansia.

Sicuramente anche l'invito a comporre questo scritto contribuisce a costituire una metodologia poiché la possibilità di scrivere, raccontare un'esperienza, è un forte ordinatore di pensiero che contribuisce all'evoluzione e comprensione delle cose. Inoltre, credo di essere riuscita a mettere in campo la mia professionalità per un progetto di prevenzione e salute di comunità soprattutto grazie alla fiducia e l'interesse mostrati per le idee, alla concreta disponibilità a sostenerle e renderle concretizzabili, all'essere stata accompagnata senza che fosse agita alcuna forma di imposizione e controllo dettato da una superiorità gerarchica, alla predilezione della flessibilità piuttosto che l'imbrigliamento dentro a rigidi schemi procedurali, all'aver previsto spazi di espressione e narrazione. Tutto questo rappresenta quel peculiare modo di intendere il lavoro di promozione della salute e la possibilità di agirlo nel Servizio pubblico in questione di cui ho accennato all’inizio dell’articolo.


Note - Riferimenti bilbiografici

1) Massimo Saccà, Rocco Brienza. L'approccio clinico in pedagogia. Prospettive e temi di ricerca per la clinica della formazione familiare. Edizioni Goliardiche 1998; Pag 20

2) Il DSM di Grosseto tra il 2014-2018 ha aderito ad alcuni progetti su scala regionale/nazionale attraverso i quali ha costituito delle coalizioni di comunità permanenti. Progetto CCM : Interventi integrati per favorire il riconoscimento e il trattamento precoce dei disturbi psichici gravi in età giovanile (15-24 anni) in gruppi di popolazione a rischio”, finanziato dal Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie, e coordinato dal Dipartimento di Salute Mentale di Garbagnate. Il progetto ha coinvolto i Dipartimenti di Salute Mentale di Milano Niguarda, Milano Sacco, Lecco, Genova e Grosseto. Progetto SPRINT: Sistema di PRotezione INTerdisciplinare per la salute mentale di richiedenti asilo e rifugiati, finanziato dal Fondo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI) 2016-2020 e coordinato dalla Regione Toscana con la partecipazione del Centro di Salute Globale e tre Aziende USL Toscane (Centro, Nord Ovest, Sud Est).

3) Salvatore Inglese, Giuseppe Cardamone. DÉJÀ VU2 Laboratori di etnopsichiatria critica. "Per riorentarsi nei servizi di salute mentale in crisi." Edvige Facchi – Giuseppe Cardamone. Edizioni Colibrì 2017; Pag 350

4) L'UFSMA di Grosseto dal 2008 pensa di far diventare il gruppo sportivo, nato tra le tante attività offerte per i propri utenti, un'associazione senza scopo di lucro con un proprio statuto, presidente e numero di iscrizione nel registro delle associazioni onlus della Regione. Questo passaggio amministrativo permette un grosso salto di qualità dal punto di vista dell'integrazione tra le persone con disturbo psichico e la comunità, poiché, permette a chiunque voglia praticare sport insieme all'associazione di farlo senza dover essere, per obblighi assicurativi, un utente in carico al servizio salute mentale. Se Grosseto ha fatto questo passaggio già dieci anni fa, purtroppo ancora oggi ci sono molte realtà in cui sussiste il paradosso per cui nelle squadre sportive nate all'interno della salute mentale possono giocare solo utenti in carico alla salute mentale ponendo di fatto un limite al processo integrativo. L'Atletico Maremma è anche socio di Artics, un coordinamento di associazioni sportive che organizza tornei non agonistici in varie discipline sportive. Artics opera però a livello provinciale: ogni squadra si sposta nelle varie città toscane per incontrarsi sportivamente. Il torneo "La Zampata" trae ispirazione dalle attività proposte da Artics e ne adotta il regolamento di gioco. Il presupposto parte dall'osservare che Artics propone a livello provinciale quegli incontri sportivi che sono mancanti nelle città-comunità teriitoriali. “L'Associazione Regionale Toscana Inclusione Cultura e Sport è un coordinamento di associazioni e gruppi in formali costituitosi nel 2013, ma rappresenta le idee e le azioni di un movimento, composto da quindici realtà e centinaia di soci, che nella nostra regione è presente da oltre dieci anni e che, partendo dai servizi di salute mentale, utilizza la pratica sportiva quale strumento per la riabilitazione psichiatrica e per favorire l'inclusione sociale e l'accessibilità ai diritti di cittadinanza." [https://articsblog.wordpress.com]

5) Accostandoci al pensiero di Rocco Brienza in merito al particolare metodo della clinica della formazione familiare: "Soltanto la cultura comunitaria è la fonte di ogni illuminazione in grado di rendere intellegibili le catene, le costellazioni di fatti, espressioni, pratiche, e dei diversi altri elementi che emergono via via nell'analisi (o, meglio, nell'autoanalisi) e rendono possibile la facilitazione". Rocco Brienza. Laboratorio Famiglia. Edizioni Goliardiche 1997; Pag 53

6) Secondo il Dossier statistico immigrazione 2017 (Centro Studi e Ricerche Idos in partenariato con il Centro Studi e Confronti e con la collaborazione dell'Unar), presentato nel convegno "Nascere e Crescere nell'Area Vasta Sud Est: presentazione Dossier statistico immigrazione 2017" in collaborazione con SST Azienda usl Toscna Sud Est e il Comune di Siena, il 18.12.2017 presso il Palazzo Pubblico - Sala delle Lupe - di Siena, anche nel settore sportivo i migranti soffrono di discriminazione nell'accesso alle attività sportive. Si legge: "Un'attenzione specifica merita l'accesso dei migranti, adulti e minori, all'attività calcistica dilettantistica. Se la pressione esercitata dalla campagna Gioco Anch'io, lanciata nel 2012 da una rete di associazioni, ha permesso di conseguire dei risultati importanti, ovvero l'abrogazione di alcune delle Norme organizzative interne (Noif) della Fgc (Federazione Gioco Calcio) che rendevano estremamente difficoltoso il tesseramento, continuano a persistere degli ostacoli di non poco conto [...]. É ormai unanimamente condiviso il riconoscimento dello sport come stumento di inclusione sociale dei gruppi svantaggiati, tra i quali proprio migranti e i richiedenti asilo; ed è su questa falsariga che si pongono le iniziative sopra richiamate sinteticamente. Peraltro preme evidenziare che la rivendicazione del diritto allo sport per tutti, al di là dello status civitatis e della regolarità del soggiorno, significa non solo favorire percorsi di integrazone e di empowermant ma altresì sostenere e promuovere un' idea di cittadinanza universale che passi attraverso il riconoscimento dei diritti fondamentali di tutte le persone e che miri alla costruzione di una società realmente inclusiva e non discriminatoria. L'accesso alla pratica sportiva si presenta dunque come la cartina tornasole dell'atteggiamento della società e delle istituzioni italiane nei confronti dei migranti, lo spazio nel quale misurare non solo le discriminazioni ma altresì i progressi del diritto e delle prassi, i processi di partecipazione attiva, il dialogo e confronto tra autoctoni e stranieri, i percorsi di autonomia dei singoli e di rafforzamento della collettività".

7) Il gruppo si è composto di cinque operatori che in modo costante si sono ritrovati per discutere la progettazione e riorentare le proprie azioni dopo ogni giornata delle cinque realizzate. Ogni operatore è stato delegato dal proprio responsabile a rappresentare la cooperativa/associazione/realtà informale (o ne era direttamente il responsabile). Gli altri operatori e persone coinvolte non disponibili a partecipare alle riunioni sono stati sempre informati via mail e resi "attivi responsabili" in qualità di staff allargato durante gli eventi. Questo ha indotto gli operatori a esprimersi in modo creativo e propositivo secondo le proprie qualità in quanto ognuno, compresa la scrievente, non era un esecutore, ma facente veci di organizzatore diretto. Inoltre ciò ha permesso di sviscerare tutte quelle esigenze o problematiche o risorse proprie di ogni gruppo (di cui gli operatori sono i conoscitori più precisi) utili a costruire "il torneo su misura" e senza la cui conoscenza si sarebbe potuto fallire. Un esempio è stata la previsione di alcune pause più lunghe per non sovrapporsi al periodo del ramadan islamico; altri esempi riguardano la scelta di un orario di inizio e chiusura conforme agli orari dei mezzi di trasporto e la predisposizione di cartelloni orientativi nei campi da gioco.

8) Per informazioni aggiornate e contatti, visitare la pagina: https://www.facebook.com/Torneo-La-Zampata-168557683847101/?ref=bookmarks