Volume 15 - 10 Novembre 2017

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La valutazione di qualità comunitaria dei dispositivi di sostegno all'abitare in salute mentale
Modello Teorico e Strumenti di Valutazione del Programma di Accreditamento di Qualità Scientifico-Professionale "Progetto Visiting DTC"

Autore

RIASSUNTO

Questo articolo presenta il Modello Teorico e gli Strumenti di Valutazione dei Dispositivi di Sostegno all’Abitare che il Programma di Accreditamento di Qualità Scientifico-Professionale denominato “Progetto Visiting DTC”, ha sviluppato all’interno della cornice metodologica rappresentata dalla tradizione inglese della Comunità Terapeutica Democratica e dalla più recente teoresi italiana sulla Psicoterapia di Comunità. Tale prassi di valutazione del processo di cura attivato all’interno di tali dispositivi, è basata su strumenti che valorizzano quella dimensione della Qualità dei Servizi Residenziali e Abitativi in Salute Mentale, ormai consensualmente definita come “Qualità Comunitaria”. La qualità comunitaria di tali Servizi di Sostegno all’Abitare si basa sulla loro capacità di sviluppare al loro interno, Ambienti di Vita caratterizzati da convivenza e collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, nel Programma di Inclusione Socio-Abitativa dei loro utenti, ed al loro esterno, reti sociali di interconnessione le Agenzie Sociali della Comunità Locale, con funzione di sostegno e partecipazione alla vita civile.


ABSTRACT

This paper presents the Theoretic Model and the Evaluation Tools of the Supported Housing Devices that the Scientific and Professional Quality Assurance Program called "Visiting DTC Project" developed within the methodological framework of the English Tradition of the Democratic Therapeutic Community and the most recent Italian theory on Psychotherapy Community-Focused. This assessment practice of the care process activated within such devices is based on tools that value that Quality of Residential and Housing Services of Mental Health, now consensually defined "Community Quality". The Community Quality of such Supported Housing Services is based on their ability to develop within them, Living Environments characterized by coexistence and collaboration between all the people involved, directly or indirectly, in their Users' Housing Program, and outside of them social network interconnected to the Social Agencies of the Local Community, with the function of support and participation in civil life.


Appartamenti supportati o protetti, Case alloggio o assistite, Programmi di sostegno e assistenza domiciliare, Percorsi assistenziali integrati di inclusione socio-abitativa, Progetti socio-riabilitativi residenziali, Piani socio-assistenziali sull’habitat sociale …

Sono questi solo alcuni dei tantissimi nomi che le istituzioni sociali e sanitarie assegnano ormai ad una pratica di assistenza psichiatrica molto diffusa nei Dipartimenti di salute Mentale italiani, che fa riferimento a ciò che nella letteratura scientifica internazionale viene identificato come Sostegno all’Abitare (Supported Housing), e che propone prassi di residenzialità alternative all’abituale ricorso alle cosiddette strutture psichiatriche intermedie.

Il sostegno all’abitare in salute mentale rappresenta quindi una pratica di lavoro comunitario che, raccogliendo sotto la stessa etichetta una ampia serie di servizi e dispositivi, testimonia una nuova tendenza umanizzante nell’organizzazione delle pratiche di cura che si fonda sul riconoscimento del valore terapeutico e (ri)abilitante al sostegno degli utenti all’esercizio del diritto umano fondamentale della Casa.

Tale ampia serie di pratiche è accomunata da tre caratteristiche metodologiche ben definite, che la collocano a pieno titolo tanto nella tradizione della Salute Mentale di Comunità quanto nel più recente paradigma del Recovery in Salute Mentale:

  1. l’abitare in autonomia, una casa che possa essere considerata propria, ma non isolata e segregata un contesto sociale di riferimento (l’ambiente di vita domestica è progettato come strettamente supportato dalla comunità locale ed interconnesso alla Rete delle Agenzie sociali che la animano, prime tra tutte gli stessi Dipartimenti di Salute Mentale e gli eventuali Enti Gestori dei Servizi di Assistenza Domiciliare);
  2. il co-housing tra utenti (nella stessa case o con strette relazioni di buon vicinato) come valore sociale, attivatore di beni relazionali indispensabili allo sviluppo ed alla promozione delle salute mentale (come il sostegno tra pari, la costruzione di un ambiente comunitario di vita e la co-gestione dei Servizi di cui essi usufruiscono);
  3. la civile abitazione e la convivenza civile in ambienti de-sanitarizzati, contrassegnata dall’assenza di una Equipe clinica con funzione medico-psichiatrica o anche psicoterapeutica nell’organizzazione dello Staff di operatori dedicati all’assistenza, la cui funzione principale è il sostegno alla partecipazione sociale e all’esercizio dei diritti (ciascun utente gestisce individualmente la propria cura psichiatrica ed eventualmente usufruisce indipendentemente dagli altri di servizi psicoterapeutici, appoggiandosi alle risorse della Rete delle Agenzie Sociali locali).

Il Sostegno all’Abitare, come tutte le pratiche di salute mentale di comunità orientate alla recovery, funziona quindi come attivatore di spazi transizionali di convivenza, di reti sociali intermedie, di processi evolutivi di passaggio tra l’ambiente in cui la sofferenza mentale si manifesta, spesso incarnandosi in alcune delle persone che lo abitano, ed il contesto più ampio costituito dalla comunità sociale di appartenenza delle stesse. Per sostenere l’integrità psichica e migliorare la coesione mentale degli utenti, tali pratiche non si pongono gli obiettivi specifici dei dispositivi psicoterapeutici come ad esempio, l’attivazione di funzioni terapeutiche individualizzanti e soggettivanti, ma piuttosto l’obiettivo generale dell’attivazione di una profonda azione socializzante e mentalizzante. Il focus del servizio svolto attraverso i dispositivi di Sostegno all’Abitare non è quindi il Progetto Terapeutico dell’Utente, ma il suo più generale Progetto di Vita.

Il miglior fattore terapeutico aspecifico ed indiretto che tali dispositivi di lavoro possono aspirare ad attivare per gli utenti della salute mentale è, quindi, proprio la (ri) costruzione di una visione articolata della frammentazione che il loro “apparato mentale” ha subito a causa del disagio psichico di cui ha sofferto. Diventa così possibile per l’Equipe clinica dei DSM che li hanno in carico, ricostruire la continuità del loro funzionamento mentale attraverso l’articolazione dei campi psico-sociali che hanno fondato le loro appartenenze, strutturandone la matrice identitaria.

La filosofia di lavoro sottesa è quindi quella di creare le condizioni affinché possano dispiegarsi al meglio tutte quelle esperienze relazionali positive e riparative che tanto sembrano essere connesse alla guarigione dalla patologia mentale. L’obiettivo è quindi quello di innestare relazioni intermedie tra la comunità locale di appartenenza ed i mondi domestici abitati dal paziente, sulle maglie delle reti sociali e familiari dalle quali origina il disagio e la malattia.


Per una salute mentale di comunità

Il passaggio di prospettiva non è di poco conto. Il Sostegno all’abitare ha permesso di spostare l’attenzione dall’istituzione alla comunità: dalla dimensione istituzionale titolare della cura e della responsabilità sull’utenza (e quindi tendenzialmente contenitiva e sempre a rischio di custodialismo) alla dimensione comunitaria che può essere vissuta ed abitata attraverso convivenza in un ambiente domestico e la partecipazione alla vita sociale locale. Si viene così a creare un continuum ideale dell’abitare lungo il quale collocare i Servizi di Sostegno all’Abitare che va dalle residenze terapeutiche all’assistenza domiciliare. Ai due estremi troviamo, da un lato, il dispositivo terapeutico comunitario del Gruppo Appartamento, e dall’altro il dispositivo di Sostegno Socio-Abitativo a Domicilio dell’utente.

Il continuum del Sostegno all’Abitare è da considerarsi un artificio metodologico per valutare l’efficacia del funzionamento di tali dispositivi e non per riproporre il paradigma del continuum residenziale delle strutture psichiatriche intermedie, ormai dimostratosi inapplicabile. Tale paradigma prevedeva in ogni dipartimento territoriale una serie di strutture intermedie di trattamento residenziale, con ai due estremi l’Ospedale e l’Ambulatorio, differenziate in funzione del livello di protezione. Lungo di esse ogni utente del Servizio di salute mentale sarebbe dovuto transitare a seconda del suo livello di gravità clinica e di disabilità, tendendo idealmente entrarvi andando in direzione di un “ricovero protetto” per lo svolgimento delle prestazioni sanitarie ospedaliere, e ad uscirne in direzione opposta, verso una “vita indipendente” che prevede la possibilità di usufruire soltanto di prestazioni psichiatriche ambulatoriali (1).

La ricerca scientifica ha dimostrato che questa organizzazione dei servizi residenziali intermedi non è mai riuscita a trovare una sufficiente implementazione, a causa, principalmente, dell’eccessiva onerosità finanziaria e della difficoltà organizzativa che essa prevede. Non è infatti possibile realizzare la “felice” coincidenza del “posto giusto”, nel “momento giusto”, con il “paziente giusto”, senza in realtà prevedere una serie enorme di istituzioni di tutele, ricovero e cura, le cui spese sarebbero altrettanto enormi per assicurare la disponibilità di “posti letto” sempre disponibili. Dal punto di vista clinico inoltre, questo paradigma prevede la continua transitorietà (e precarietà) della residenza dell’utenza, da una struttura sanitaria ad un’altra, e quindi una conseguente perdita periodica dei supporti sociali ogni volta acquisiti (2,3).

La precarietà in cui sono costretti a vivere tuttora molti utenti dei Servizi di salute mentale che ancora si ispirano (ancorché inconsapevolmente) a tale continuum istituzionalizzante delle strutture intermedie, non può quindi generare la solidarietà tra pari, né tanto meno la collaborazione reciproca tra individui nelle stesse difficoltà, come invece è previsto che avvenga nei Servizi di Salute Mentale di Comunità orientati al Recovery, attraverso l’attivazione dei ben noti fattori terapeutici aspecifici dei dispositivi da essi attivati, Ma al contrario si determina una perdita costante e selettiva dei legami sociali stabili, autentici ed autorevoli, determinando al contempo la rinuncia sia alla costruzione di significati condivisi che ad un intervento attivo in grado di modificare la realtà psico-socio-economica angosciante in cui spesso di trova chi soffre di gravi disturbi mentali. È questo il “circolo vizioso” che si è innescato con l’adozione implicita di tale modello istituzionale dei servizi intermedi in salute mentale. Il rafforzamento del sentimento di vulnerabilità sociale degli utenti, determina l’incremento ricorsivo di sempre nuova sofferenza mentale da un lato, e di impotenza ed umiliazione dall’altro, generando i pregiudizi individualistici di incurabilità ed inguaribilità.

I dispositivi di Sostegno all’Abitare si fondano invece sull’idea opposta di un “circolo virtuoso” che si innesta tra il sostegno allo sviluppo delle competenze psico-sociali che permettono agli utenti di collaborare per comprendere i contesti in cui vivono, lavorano e si curano, da un lato, e la speranza di stare meglio, connessa all’autostima verso le proprie capacità, la fiducia verso l’altrui presenza, che permette di incidere in modo sempre un po’ più attivo sulla realtà che li circonda. La collaborazione si basa sulla capacità di ascoltare, confrontarsi, dialogare con il prossimo per realizzare opere e risultati che da soli non si potrebbero conseguire, primi fra tutti la creazione di ambienti comunitari, dove tali competenze collaborative possano trovare applicazione e riconoscimento, contrastando i modelli della competizione individualistica e della chiusura di tipo escludente, oggi dominanti nella società occidentale.

Il Sostegno all’Abitare può così essere considerato uno degli sviluppi evolutivi più euristici dei Servizi di Salute Mentale in epoca postmoderna, la cui mission fondamentale sembra essere ormai chiaro che debba orientarsi verso il sostegno allo sviluppo di tali competenze gruppali e comunitarie a tutti i livelli di interazioni interpersonali e di contrattazioni sociali, a cominciare da quelli di presa in carico degli utenti con grave disagio psico-socio-economico ed a rischio di emarginazione, per finire con quelli riguardanti le politiche di pianificazione socio-sanitaria nelle comunità locali.


Il Paradigma del Recovery in salute mentale

Il recovery è un processo di natura sociale nel quale l’utente ha l’obiettivo di maturare un nuovo approccio alla propria sofferenza secondo tempi e modi del tutto personali. Un Servizi di Salute Mentale orientato al recovery si basa quindi su un approccio metodologico che non tende a controllare la vita dei propri utenti, ma ad accompagnarli nella gestione della loro esistenza, aiutandoli ad identificare le risorse di cui dispongono e a sentirsi parte integrante della comunità in cui vivono. Per far ciò il Servizio si basa su processi di progettazione terapeutica personalizzata, che non uniformano programmi assistenziali uguali per tutti ed imposti dall’alto, ma al contrario prevedono la partecipazione dell’utente e la collaborazione con tutti coloro che sono coinvolti sua organizzazione ed erogazione, oltre che, naturalmente, tutti coloro che egli desidera coinvolgere perché appartenenti alla sua rete di legami affettivi.

È fondamentale che la prospettiva degli utenti venga sempre integrata non soltanto nei processi organizzativi ma anche in quelli di programmazione e verifica socio-sanitaria, per un Servizio che si definisca Recovery-Oriented. Ciò incoraggia sempre nuove, importanti e utili ricadute nello sviluppo delle pratiche di lavoro (4). Una pratica si salute mentale Recovery-Oriented offre agli utenti la “speranza” di ridefinirsi e di determinare la propria vita, di sviluppando un senso di appartenenza alla comunità locale e maturando empowerment. Focalizzare l’intervento nella comunità locale e nei contesti di vita dell’utente ha l’obiettivo di facilitare le relazioni con i familiari gli altri membri della comunità, sviluppando il senso di cittadinanza e combattere lo stigma e l’esclusione sociale. Cogestire il Servizio con gli utenti vuol dire invece per gli operatori e gli amministratori apprendere a non programmare né decidere nulla senza la loro approvazione, promuovendo la reciprocità nelle relazioni di cura e di lavoro.

Un Servizio di Sostegno all’Abitare Recovery-Oriented quindi non può che essere inteso come un’opera di co-costruzione collettiva tra soggettività diverse impegnate nella sua governance, la prima delle quali è l’utenza, la cui organizzazione va sempre considerata all’interno di contesto socio-economico nel quale la salute mentale e lo sviluppo della comunità locale, rappresentano parametri di funzionamento ineludibili.

Il contesto di povertà e di esclusione dalle risorse sociali e materiali in cui versano molti utenti dei Servizi di salute mentale, necessita che tutti gli sforzi di presa in carico della sofferenza siano indirizzati alla massimizzazione degli aiuti informali degli amici, dei familiari, i vicini, volontari e di altri membri della comunità. Gli operatori devono stare molto attenti a non sostituirsi a queste reti sociali intime, solidali ed informali.


Teoria e Pratica delle Reti Sociali

Le prime reti sociali sulle quali operano i dispositivi di Sostegno all’Abitare, sono le reti familiari e quelle istituzionali, ponendosi in una posizione intermedia tra queste.

La Rete Familiare, rappresenta normalmente il primo sostegno alle persone con problemi di salute mentale, soprattutto nei casi di intervento precoce. Essa è appunto costituita dai familiari degli utenti e dai loro “carers”. Questi ultimi sono intesi come nodi centrali della rete sociale primaria dei pazienti e non sono rappresentati soltanto da legami di parentela, ma anche da tutti quei legami affettivi che l’individuo costruisce nelle varie fasi della sua vita. Essa è per definizione costituita da legami forti, cioè naturali e familiari, ed è strutturalmente deputata a sostenere l’individuo attraverso relazioni affettive (positive o negative) di reciprocità (immediata o differita) fondate sull’intimità dello scambio.

La Rete Istituzionale è costituita dalla Agenzie sociali territoriali che commissionano, forniscono valutano i servizi di assistenza e tutela dei diritti civili degli utenti, primi fra tutti il diritto alla casa e quello alla salute. Il Dipartimento di Salute Mentale locale e territorialmente competente rappresenta uno dei nodi centrali di tale rete, costituita da legami sociali detti artificiali (in opposizione alla naturalità dei legami della rete familiare) e formali (rispetto alle relazioni istituzionali fondate sul diritto e sul denaro), che garantisce la possibilità di partecipazione alla vita della comunità locale.

La posizione intermedia che i dispositivi di sostegno all’abitare occupano rispetto alle due tipologie di reti sopraindicate, li pone al centro di una Rete Sociale Intermedia (5), caratterizzata dalla multidimensionalità dello “scambio” che avviene in essa, e costituita da legami intermedi cioè alternativamente o transitoriamente Forti e Deboli (nel senso dell’intimità e della socialità dello scambio). Essa è quindi basata su relazioni interpersonali che allargano la rete sociale primaria interconnettendola alla rete sociale secondaria. La rete sociale intermedia viene considerata “la rete terapeutica per eccellenza” perché permette la trasformazione tanto delle reti sociali primarie e secondarie, quanto la tipologia dei legami che le determinano. La tipologia principale dei nodi che costituiscono è rappresentata dai servizi ed i dispositivi della Salute Mentale di Comunità e dalle organizzazioni di lavoro orientate al Recovery.

Le relazioni intermedie cui qui ci riferiamo, sono quindi relazioni sociali essenzialmente comunitarie orientate alla salute mentale, nel senso che abbisognano, per esistere, di un ambiente comunitario nel quale strutturarsi. Esse sono quindi relazioni non solo tra i operatore ed utente, ma anche tra utente e gli altri utenti del proprio ambiente e soprattutto tra l’utente e i propri gruppi sociali di appartenenza.

Una buona interconnessione di tale rete sociale, per definizione, migliora la salute mentale di un individuo o di un contesto relazionale nel suo complesso. Questo assunto, in realtà, si basa su un più ampio assunto antropologico-culturale secondo il quale la salute mentale si fonda sul funzionamento di una complessità di campi relazionali e mentali, solo alcuni dei quali possono essere considerati attivati e sostenuti da servizi professionali ad essa specificamente dedicati. I quali hanno però il ruolo fondamentale di prendersi cura dello sviluppo di tali campi mentali e relazionali in tutti quei casi in cui individui o contesti relazionali manifestano disagio all’interno di tali campi. Compito primario dei Servizi di salute mentale di comunità è quello di prendersi cura di tali reti sociali quando esse appaiono smagliare, ristrette o irrigidite e permettere loro di svilupparsi per migliorare la partecipazione sociale di tutti gli individui che esse includono e interconnettono.

La maggior parte delle dinamiche mentali e relazionali connesse alla salute mentale, sulla base di questo assunto antropologico-culturale, attengono infatti a processi di scambio che riguardano l’interconnessione di ambienti di vita e di lavoro attraversati da reti sociali caratterizzate dall’Intimità (come quelle familiari, amicali), dalla solidarietà (come quelle che organizzano la cura e la partecipazione sociali) e l’Informalità (come quelle che tessono gli scambi di beni tangibili e intangibili di una comunità).

Da questa intricata rete di relazioni sociali e dai campi mentali che esse sottendono (6,5), dipendono in gran parte le possibilità di:

  • promuovere la cultura della salute mentale nella comunità sociale, e sostenere lo sviluppo di servizi ed agenzie sociali locali orientate ad essa
  • prevenire nelle comunità di vita e di lavoro le più gravi manifestazioni di disagio psichico e la conseguente insorgenza di patologie mentali
  • porre la premesse una cura efficace della psicopatologia manifesta e soprattutto una guarigione, più o meno definitiva.

A questo punto la Psicoterapia di Comunità non può che essere la forma psicoterapeutica di base, che meglio di adatta alla mission dei Servizi di Salute Mentale di Comunità, perché basata sui fattori terapeutici gruppali e comunitari sostenuti delle relazioni che si attivano in tali reti sociali di tipo Intermedio. I processi terapeutici comunitari si fondano infatti sull’attivazione di spazi mentali di transito e interconnessione tra le culture, i gruppi sociali di appartenenza e le diverse generazioni.


Ambienti Abilitanti e Comunità Terapeutiche

Il setting psicoterapeutico comunitario che è stato sviluppato specificamente sugli aspetti evolutivi e curativi della residenzialità, che ha fatto anche da modello antesignano per lo studio sui fattori terapeutici gruppali-comunitari aspecifici per la cura della grave patologia mentale, è rappresentato dalla Comunità Terapeutica. In particolare il Modello Teorico della Comunità Terapeutica Democratica, sviluppato in primo luogo dalla tradizione di ricerca scientifica inglese, considera Comunità Terapeutica una versione evoluta e pianificata in senso terapeutico, di Ambienti Sociali orientati alla salute mentale ed al benessere relazionale e progettati per tutelare l’esercizio del diritto alla casa, definiti Ambienti Abilitanti di Sostegno all’Abitare. Più nel dettaglio, tale Modello Teorico, ha recentemente riconosciuto una specifica tipologia di Comunità Terapeutica Democratica, appartenente alla tradizione della Salute Mentale di Comunità italiana, le cui caratteristiche ambientali sono molto simili a quelle dei Servizi di Sostegno all’Abitare, e che ha assunto nel tempo il nome scientifico di Gruppo Appartamento (7).

Se la Comunità Terapeutica rappresenta uno specifico setting psicoterapeutico, che funziona come un setting di Psicoterapia di Comunità, in quanto agendo sulla rete di relazioni che gli utenti intrattengono con tutti i soggetti coinvolti, direttamente ed indirettamente, nel loro Progetto Terapeutico Individualizzato, attiva i fattori terapeutici gruppali comunitari specifici per la cura della grave patologia mentale (8), ci è reso possibile dal fatto che il suo ambiente di vita e di lavoro interno è interconnesso ad una rete di legami sociali che fungono da matrice comunitaria di tutte quelle relazioni che il Modello Teorico della Comunità Terapeutica Democratica riconosce aventi nel loro insieme una funzione facilitante lo sviluppo mentale e la cura delle sofferenze ad esso connesse.

La 9° edizione degli Standard di Servizio per le Comunità Terapeutiche del Programma Inglese di Accreditamento di Qualità “Community of Communities” sviluppato dal Royal College of Psychiatrist (9) definisce infatti la Comunità Terapeutica Democratica un “ambiente di Vita e di Lavoro Pianificato in senso Terapeutico, in un Network di Ambienti Abilitanti”, ed individua il suo specifico setting comunitario come il “campo mentale condiviso della psicoterapia” in essa effettuata. L’organizzazione del suo setting su processi di funzionamento multi-gruppale, fa della Comunità Terapeutica Democratica un tipico setting della Psicoterapia di Comunità (10), proprio perché all’interno ed all’esterno del suo Ambiente Terapeutico vengono attivati gli specifici Dispositivi Gruppali-Comunitari DTC, classificabili in base alla loro tipologia funzionale, secondo la proposta di S.H. Foulkes (11) in tra grandi categorie, più o meno sovrapponibili: Gruppi Terapeutici, Gruppi Operativi e Gruppi Vitali.

Se la Comunità Terapeutica Democratica rappresenta uno specifico setting psicoterapeutico, in quanto agisce sulla rete di relazioni che gli utenti intrattengono con tutti i soggetti coinvolti, direttamente ed indirettamente, nel loro Progetto Terapeutico Individualizzato, attraverso l’attivazione di un setting contenente le tre suddette tipologie Dispositivi Gruppali Comunitari, i Servizi di Sostegno all’Abitare non attivano al proprio interno alcun Dispositivo di Gruppo Terapeutico Comunitario, demandando la gestione delle Progettazione Terapeutica Personalizzata degli utenti, alla pratica di un sostegno individualizzato all’esercizio del diritto alla salute attraverso la facilitazione dell’interconnessione con le rete delle Agenzie Sociali locali, prima fra tutte il DSM competente.

I Servizi di Sostegno all’Abitare sono invece specificamente orientati a garantire lo sviluppo di Ambienti di Vita, caratterizzati da convivenza e collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, nel Programma di Inclusione Socio-Abitativa, attraverso l’attivazione di Gruppi Operativi e Vitali, che interconnettono gli utenti alle reti sociali di sostegno e partecipazione. Tali ambienti di vita e di lavoro, così definiti assumono la qualità di Ambienti Abilitanti.

Sin dalla 1° edizione degli Standard di Qualità degli Ambienti Abilitanti, sviluppati dal Programma di Accreditamento derivato appositamente dal “Community of Communities” (12) viene affermata la consapevolezza etica ed estetica che i luoghi in cui gli esseri umani vivono e lavorano, gli ambienti organizzati per tali finalità e l'ambiente sociale intorno ad essi, hanno un impatto profondo sulla qualità della loro salute e delle loro relazioni interpersonali, e quindi sulle modalità di sviluppo della loro esistenza.

“In case e luoghi di lavoro, scuole e università, quartieri, ospedali e prigioni, la natura e la qualità delle relazioni che troviamo e creiamo intorno a noi possono avere un effetto profondo, non solo sull'efficienza e la gestione regolare di qualsiasi impresa, ma anche su come ci sentiamo - se ci stiamo sviluppando o se stiamo sopravvivendo”. (…) “È possibile individuare dei temi comuni tra tutto ciò che è considerato positivo in molti di tali ambienti, anche i più diversi, e malgrado il linguaggio usato si basi su una vasta gamma di differenti riferimenti teorici e impostazioni operative, è possibile per descrivere questo un core di esperienze, principi e valori, attribuirgli una qualità specifica: la qualità di abilitante”.

La valutazione della Qualità Comunitaria di Ambiente Abilitante per i Servizi di Sostegno all’Abitare, si basa quindi sulle caratteristiche sociali e relazionali delle prassi di convivenza e collaborazione che essi attivano e sostengono, nell’organizzazione della vita all’interno della casa di civile abitazione e nella cooperazione con le Agenzie Sociali (ed i servizi ed esse interconnesse) che compongono la loro rete di sostegno e partecipazione. Tale rete garantisce al meglio la sua funzione di sostegno e partecipazione, quanto maggiore è il numero delle agenzie sociali che rappresentano i suoi punti nodali, dotate anch’esse a loro volta della qualità di Ambiente Abilitante. Minore il numero di Ambienti Abilitanti collegati al Servizi di Sostegno all’Abitare, maggiore è il rischio che tale rete si frammenti e non svolga più la sua funzione di sostegno.


Strumenti e Prassi della Valutazione di Qualità

Il Programma di Accreditamento di Qualità Scientifico-Professionale denominato “Progetto Visiting DTC” (13,14,15), ha sviluppato all’interno di questa cornice metodologica, una prassi di valutazione del processo di cura realizzato dai Servizi di Sostegno all’Abitare, basata su strumenti che valorizzano quella dimensione della Qualità in Salute Mentale, definita appunto “Qualità Comunitaria”. La pratica di valutazione di qualità del Sostegno all’Abitare si basa quindi principalmente sul riconoscimento da alcuni standard di qualità comunitaria nel contesto interno ed in quello esterno dell’Ambiente Abitativo.

Il Contesto Interno riguarda la qualità dell’Orientamento a Recovery del Servizio di Sostegno all’Abitare in Salute Mentale.

Il Progetto Visiting DTC ha sviluppato un apposito Questionario Mental Healt Service Recovery-Oriented 2° Edizione (15), adattando alla cultura italiana il "Recovery Self-Assessment" (16) e sviluppando la sua applicazione alla pratica degli Ambienti Abilitanti per la Salute Mentale di Comunità, secondo il modello Recovery-Oriented di Davidson, Tondora, Staeheli, O'Connell & Rowe: A Pratical Guide to Recovery-Oriented Practice (17).

Le Aree di esperienza, indagate dal “Questionario MHSRO 2° Ed.” sono nove, ciascuna delle quali contiene 5 item diversi, che identificano buone pratiche standard, attraverso descrizioni convergenti quattro dai diversi punti di vista delle principali tipologie di soggetti stakeholder dei Servizi di Salute Mentale di Comunità: Utenti, Operatori, Familiari e Manager. A ciascuno di essi il questionario chiede di valutare sia individualmente che collettivamente la propria esperienza di vita, di lavoro, di coinvolgimento e di collaborazione nel Servizio di Sostegno all’Abitare. Le Aree di esperienza su cui effettuare la valutazione sono:

  1. RINNOVARE LA SPERANZA E L’IMPEGNO;
  2. ESSERE SOSTENUTO DAGLI ALTRI;
  3. TROVARE IL PROPRIO POSTO NELLA COMUNITÀ LOCALE;
  4. RIDEFINIRE SE STESSI;
  5. ASSIMILARE LA MALATTIA;
  6. GESTIRE I SINTOMI;
  7. ASSUMERE IL CONTROLLO;
  8. COMBATTERE LO STIGMA;
  9. MATURARE EMPOWERMENT.

Il Contesto Esterno riguarda la qualità nel legami di interconnessione tra l’Ambiente Abitativo e le altre Agenzie Sociali della comunità locale.

Gli Standard di tali legami di interconnessione con la Agenzie Sociali permettono di delineare le caratteristiche abilitanti e facilitanti degli ambienti relazionali che si trovano a condividere gli utenti e gli altri soggetti di volta involta coinvolti. Tali qualità, rappresentano proprio quei valori umani essenziali che, nel loro complesso, vengono delineati in un quadro di riferimento orientato alla qualità relazionale, che permette di riconoscerle e valutarle in maniera sufficientemente flessibile e adattabile ad una vasta gamma di ambienti di vita e di lavoro. Il legame tra l’Ambiente Abitativo e un nodo della rete di sostegno costituito da una singola Agenzia Sociale, può essere valutato secondo una serie di standard di qualità comunitaria che ne definiscono la capacità di migliorare le relazioni e il benessere di tutti i soggetti coinvolti negli ambienti da esso interconnessi.

I legami tra il Servizio di Sostegno all’Abitare e la Comunità Sociale Locale costituiscono quindi i Network di Ambienti Abilitanti DTC e possono essere definiti come appartenenti a diverse tipologie funzionali (Allegato 1), definite in base alle classificazione sociologiche dell’Epidemiologia Sociale: Network Primari, Network Intermedi, Network Secondari (18). Tali legami, definiti appunto Network di Ambienti Abilitanti, vengono classificati secondo una “Scheda di Classificazione Network di Ambienti Abilitanti DTC” (Allegato 2) e valutati attraverso l’utilizzo di una “Scheda di Valutazione di Network di Ambienti Abilitanti DTC” (15) che permette di registrare le evidenze del possesso di dieci requisiti standard individuati dal Programma Enabling Environment Award (12):

  1. APPARTENENZA
  2. CONFINI
  3. COMUNICAZIONE
  4. EVOLUZIONE
  5. COINVOLGIMENTO
  6. SICUREZZA
  7. ORGANIZZAZIONE / STRUTTURA
  8. EMPOWERMENT
  9. LEADERSHIP
  10. APERTURA

Bibliografia

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3) Carling PJ. “Housing and supports for persons with mental illness: Emerging approaches to research and practice”. Hospital and Community Psychiatry. 1993; 44: 439-449.

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9) Community of Communities. Service Standards for Therapeutic Communities . 9th Edition. London: Royal College of Psychiatrists’ Centre for Quality Improvement; 2015.

10) Haigh R. ‘The Quintessence of a Therapeutic Environment. Five Universal Qualities’ in Campling, P e Haigh R. Eds. Therapeutic Communities. Past, Present and Future. London: Jessica Kingsley Publishers; 1999.

11) Foulkes SH. Group-Analytic Psychotherapy. London: Gordon & Breach; 1975.

12) The Enabling Environments Award. Enabling Environments Standards. London: Royal College of Psychiatrists’ Centre for Quality Improvement; 2013.

13) Bruschetta S e Frasca A. Il “Progetto Visiting DTC” per l’Accreditamento di Qualità Scientifico Professionale Tra-Pari delle Comunità Terapeutiche del Servizio di Salute Mentale delle ASL dell’Area Vasta Sud-Est della Regione Toscana. Nuova Rassegna Studi Psichiatrici. 2016; 13.

14) Bruschetta S e Frasca A. La formazione di stakeholder delle Comunità Terapeutiche come “Valutatori Esperti”, nel programma di accreditamento tra pari “Progetto Visiting DTC”. Nuova Rassegna Studi Psichiatrici. 2017; 14.

15) Bruschetta S. Il Gruppo Multifamiliare come dispositivo di lavoro per una Democratic Peer Accreditation delle Comunità Terapeutiche. Nuova Rassegna Studi Psichiatrici. 2017;14.

16) O'Connel M, Tondora J, Croog G, Evans A, Davidson L. From rhetoric to routine: Assessing perception of recovery-oriented in a state mental health and addiction system. Psychiatric Rehabilitation Journal. 2005; 28: 378-386.

17) Davidson L,Tondora J, Staeheli M, O' Connel M, Rowe M. A Pratical Guide to Recovery-Oriented Practice. Oxfrord: ©2009 by Oxford University Press, Inc. - Trad. it. © 2012 by Edizioni Erickson

18) Berkman L e Kawachi I. Social Epydemiology. Oxford: Oxford University Press; 2000.


allegato 1


allegato 2