Volume 14 - 6 Aprile 2017

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Nuove prospettive nell’assessment dei disturbi comportamentali in seguito a cerebrolesione acquisita

Autori

Riassunto

I disturbi del comportamento rappresentano forse la più grave delle conseguenze rilevabili nei pazienti con Grave Cerebrolesione Acquisita (GCA). Sovente è possibile osservare come programmi di reinserimento sociale e lavorativo siano gravemente compromessi dalla presenza di disturbi comportamentali, anche quando il recupero delle funzioni cognitive risulta ottimale, determinando sostanzialmente il fallimento dell’intero progetto riabilitativo.

Nonostante la difficoltà di misurare una dimensione così volubile come il comportamento, frutto di una interazione dinamica tra la persona e l’ambiente, risulta comunque necessario l’utilizzo di strumenti che ne consentano la valutazione e misurazione, validi supporti alla definizione dei programmi di intervento riabilitativo e alla rilevazione di eventuali modificazioni nel tempo.

Fino ad oggi sono stati sviluppati numerosi test utili all’inquadramento dei disturbi comportamentali che hanno però scarsa specificità e sensibilità per il corretto inquadramento di questa dimensione nelle GCA.

Recentemente è stato messo a punto da un gruppo di lavoro inglese il BIRT-PQ (Brain Injury Rehabilitation Trust – Personnality Questionnaire), un questionario specifico per lo studio del comportamento nei pazienti con GCA, che è stato tradotto e tarato da un gruppo italiano e che dispone pertanto di dati normativi per la nostra popolazione (Basagni et al., 2015).

Riportiamo nel presente lavoro l’applicazione di questo strumento su un caso esemplificativo, per mostrare come il BIRT-PQ sia vantaggioso per lo studio dei disturbi del comportamento nei pazienti con GCA e costituisca un valido supporto per la definizione degli interventi più appropriati.


Summary

Behavioural disorders represent the most severe consequences after an acquired brain injury (ABI). Social and job reintegration programs are often impaired by behavioral disorders in despite of a complete recovery from cognitive impairment, determining the failure of the entire individual rehabilitative project.

Despite the difficulty of measuring human behavior, which result from its very nature of a dynamic interaction between the person and the environment, specific tools useful to measure behavioural changes are still needed in order to define tailored rehabilitative programs.

Until now researchers have developed many useful tools to classify the different aspects of the behavioral disorders: still, these are of poor specificity and sensitivity for the right assessment of this dimension in the ABI.

Recently, a group of researchers from uk have elaborated a test for the assessment of the behavioural disorders as a consequence of abi, named BIRT-PQ (Brain Injury Rehabilitation Trust – Personality Questionnaire), which comes in form of questionnaire. It was recently translated in italian by a group of italian researchers. Moreover they have provided normative data for the italian popoulation (Basagni et al., 2015).

In this paper we discuss the application of this tool describing a case report in order to show how useful it can be in defining a tailored rehabilitative program to promote the recovery of behavioural disorders as consequence of ABI.


Introduzione

Per “grave cerebrolesione acquisita” (GCA) si intende un danno cerebrale, dovuto a trauma cranioencefalico o ad altre cause (vascolare, anossica, infettiva, etc.), tale da determinare una condizione di coma e menomazioni sensomotorie, cognitive o comportamentali, che comportano disabilità. Le GCA sono molto frequenti e rientrano tra le principali cause di disabilità dell’individuo, intervenendo in un processo ricorsivo, nel ridurre la partecipazione sociale e la qualità di vita (Murray et al., 2013; Holloway et al., 2016).

Un recente studio condotto nel Regno Unito ha messo in evidenza che attualmente circa un milione di persone (circa l’1,5% della popolazione) presenta esiti di cerebrolesione acquisita insorta da almeno 10 anni. Tra le cause più frequenti vengono annoverate un incremento di interazione dei ciclisti con il traffico automobilistico, la pratica di sport pericolosi e l’aumento della percentuale di anziani nella popolazione. Le fasce di età più a rischio sono tra 15 e 30 anni e gli ultraottantenni. Questi dati sono sostanzialmente sovrapponibili ai dati epidemiologici in USA dove si registra anche un picco di incidenza tra 0 e 4 anni, (Holloway et al., 2016).

Tra le cause non traumatiche, le patologie cerebrovascolari rappresentano la prevalenza, con un progressivo incremento delle sindromi post anossiche (Garrelfs e al., 2015).

In Italia non sono attualmente presenti programmi di monitoraggio nazionali per il rilevamento puntuale dell’incidenza di GCA, in ogni caso una stima riportata nel documento della seconda Consensus Conference Nazionale sulle GCA mostra una incidenza di 10-15 persone per 100.000 abitanti.

L’elevata incidenza e prevalenza di queste patologie che colpiscono giovani e adulti (in particolare quelle di origine traumatica), la numerosità e la complessità delle sequele disabilitanti, l’impatto emotivo ed economico sulla famiglia, oltre a definire un fenomeno ad alta rilevanza sanitaria e sociale, rimarcano l’importanza di una presa in carico tempestiva e globale del paziente, in cui la valutazione e l’intervento riabilitativo, deve concentrarsi sulle variabili maggiormente interferenti con il grado di recupero.

La pratica clinica conferma infatti che gli esiti cognitivi e comportamentali rappresentano le principali direttrici di quello che sarà l’outcome del paziente, ancor più degli esiti motori (Saviola e De Tanti, 2010; Cattelani, Zettin & Zoccolotti, 2010). In particolare, qualora le GCA interessino strutture neuroanatomiche critiche per l’integrazione tra pensiero e comportamento, come i network delle aree della corteccia frontale, è frequente l’insorgenza di una varietà di sindromi con possibile correlazione tra alterazione cognitiva e manifestazione comportamentale (Szczepanski & Knight, 2014).

Sindrome frontale e sindrome disesecutiva sono frequentemente utilizzati come sinonimi per descrivere alterazioni comportamentali dovute ad una disfunzionalità esecutiva (Oddy & Worthington, 2009; Smit, 2016) e definibili come modificazioni, immotivate e non sintoniche, delle modalità di interazione con l’ambiente. In realtà i disordini comportamentali rappresentano solo uno dei sintomi critici o delle evidenze cliniche ascrivibili alla sindrome frontale che si caratterizza più ampiamente per compromissione delle abilità cognitive, parallelamente ad un’alterazione di quelle affettive, emotive e comportamentali, e per lieve interessamento delle abilità senso-percettive, comunicative e motorie.

Diversi autori propongono di declinare la funzionalità dei lobi frontali in abilità esecutive, capacità di iniziativa, processi di regolazione comportamentale/emotiva e processi metacognitivi (Oddy & Worthington, 2009; Smit, 2016). Per funzioni esecutive, si intende la capacità di pianificazione, flessibilità, monitoraggio e controllo cognitivo, abilità che risultano correlabili alla corteccia prefrontale dorsolaterale. La capacità di iniziativa, ovvero l’attivazione e il suo mantenimento, in ambito emozionale, motorio e cognitivo, ha come substrato anatomico la la corteccia frontale mediale superiore, con prevalenza emisferica destra (Stuss e Alexander, 2007). I processi di regolazione comportamentale/emotiva, che coinvolgono i meccanismi di ricompensa/punizione e di controllo delle emozioni, risultano correlabili alla corteccia prefrontale ventrale mediale (Szczepanski & Knight, 2014). Infine, i processi metacognitivi, definibili come “conoscenza o cognizione riguardo ai fenomeni cognitivi” (Flavell, 1979) o come capacità di “riflettere le proprie riflessioni” (Frith, 2012), rappresentano un’integrazione di ordine superiore dei vari costrutti cognitivi resa possibile dalla complessa attività dei lobi frontali.

In termini descrittivi generali, la letteratura corrente classifica i disordini neurocomportamentali a seconda delle manifestazioni cliniche prevalenti, in condotte passivo-difettuali econdotte in eccesso (Wood, 2001). Le condotte passivo-difettuali includono le manifestazioni indicative di ridotto dinamismo e di carente attitudine proattiva (per es. apatia, demotivazione, trascuratezza, disinteresse ecc.) con possibili difficoltà di attivazione, iniziativa, indifferenza sociale ed affettivo-emotiva. Diversamente, le condotte in eccesso descrivono manifestazioni disadattive, caratterizzate da frequente riduzione del controllo degli impulsi, dei freni inibitori e da carenti abilità introspettive e di ridotta o insufficiente consapevolezza della propria condizione morbosa (per es. irritabilità, impulsività, aggressività, oppositività, ossessività, compulsività, perseverazioni). Condotte per eccesso e per difetto possono altresì coesistere in uno stesso paziente.

La distinzione evidenzia non solo profili comportamentali diversi per fenomenologia, ma anche per le possibili ripercussioni sulla partecipazione sociale del soggetto; si intuisce che condotte caratterizzate da scarsa capacità di controllare e gestire le proprie reazioni emotive rendono più difficile l’adesione dei pazienti ai piani di trattamento, possono minare il grado e la qualità del coinvolgimento dei familiari all’interno del progetto riabilitativo globale, rendendo più complesso il percorso di cura. Atteggiamenti di contrasto o marcatamente oppositivi risultano tanto più disadattivi e disfunzionali quanto più il soggetto presenti scarsa consapevolezza di malattia e capacità metacognitive alterate.

La riduzione del grado di consapevolezza, che va dalla difficoltà del paziente di riconoscere i disturbi causati dall’alterato funzionamento cerebrale (Watt & Penn, 2000; Owen, 2017), fino all’anosognosia, ovvero alla ferma convinzione di possedere ancora le capacità perdute, è un disturbo selettivo per funzione (es. comportamento, abilità visive, mnestiche, motorie, ecc.), sul quale sembra non esserci concordanza circa le ipotesi eziologiche, mentre c’è convergenza nel ritenerlo un’integrazione di diversi domini cognitivi distinti, più che un processo sovraordinato rispetto alle varie funzioni cerebrali.

Tale fenomeno, la cui gravità sembra maggiore quando sono interessate dall’evento cerebrale le aree frontali e parietali (Pia et al., 2004, Azouvi et al., 2016), è molto frequente e rappresenta purtroppo un fattore prognostico negativo: può essere di ostacolo alla riabilitazione, alla gestione delle attività della vita quotidiana (Vossel et al., 2013), può rendere maggiormente gravoso il compito assistenziale del caregiver richiedendo un eccessivo impiego di risorse emotive ed economiche, così come possono ridursi per il soggetto le opportunità di integrazione sociale ed eventualmente quelle lavorative.

In questa ottica, se l’individuazione precoce e il tempestivo approfondimento dei disturbi descritti risulta indispensabile al raggiungimento degli obiettivi del progetto riabilitativo, la valutazione dei disordini comportamentali deve tenere conto di due aspetti centrali, da un lato della ridotta capacità del paziente di “autoingaggiarsi” nel percorso riabilitativo, dall’altro della frequente concomitanza di un disturbo della consapevolezza per il deficit.

La scarsa concordanza tra le numerose prove valutative neuropsicologiche (volte a quantificare le alterazioni della funzionalità esecutiva) con le autodescrizioni fornite dal paziente (Chaytor & Schmitter-Edgecombe, 2003; Owen et al., 2017), documenta ampiamente ad esempio il limite nell’utilizzo di questionari autovalutativi, che presuppongono le capacità di automonitoraggio e di consapevolezza di sé del soggetto.

Ciò motiva la necessità di mettere a punto strumenti che tengano conto di tutti le variabili che intervengono nella rilevazione dei disturbi comportamentali, che siano facilmente somministrabili e che consentano il confronto tra più osservatori, ma allo stesso tempo non escludano il punto di vista del paziente, essenziale per monitorare il grado di consapevolezza di sé.


Assessment dei disturbi comportamentali tra pratica attuale e nuove prospettive

I disordini comportamentali che emergono in seguito a GCA, pur assumendo diverse configurazioni secondo le varie fasi del decorso post lesionale e del network neurale interessato, hanno, come si è detto, il comune denominatore di costituire un’importante interferenza all’interno del progetto riabilitativo, riducendo significativamente il livello di recupero della persona. Al fine di limitare gli effetti negativi esercitati dal disordine comportamentale sul guadagno riabilitativo, è fondamentale effettuare una valutazione precoce del funzionamento cognitivo-comportamentale globale del paziente in maniera da fornire gli elementi necessari per approcciare correttamente il disordine nell’ambito del progetto riabilitativo (Mancuso, Boldrini, 2012).

La valutazione presenta tuttavia delle criticità non del tutto risolte, alimentate sostanzialmente dalla condizione patologica stessa che agisce in autonomia sull’inestricabile complessità dei meccanismi normalmente sottostanti le dinamiche comportamentali, imponendo limiti significativi ad ogni interpretazione patofisiologica utile per costituire una base razionale per un corretto approccio terapeutico (Cattelani, 2006).

Nondimeno, l’ampia varietà fenomenologica dei disturbi, rende difficile l’utilizzo dei sistemi di classificazione, sia perché troppo rigidi nei criteri diagnostici, sia perché pur avendo segni clinici assimilabili alle patologie psichiatriche, mostrano diversa eziologia e manifestazioni non completamente sovrapponibili.

In ultimo, pur essendoci convergenza nel ritenere che le anomalie comportamentali siano derivanti dall’interazione tra la persona e l’ambiente e sostenute dalla complessa variabilità dei deficit neurologici, psicologici e neuropsicologici (Basagni et al., 2015), va sottolineato che i limiti conoscitivi della fenomenologia di questo tipo di disordine e l’attenzione della ricerca orientata quasi esclusivamente alle condotte in eccesso, hanno limitato lo studio di strumenti soddisfacenti per l’assessment, e condizionato il necessario sviluppo di pratiche cliniche per il governo del disordine comportamentale, forse troppo spesso incardinate su approcci esclusivamente farmacologici.

Le scale e i questionari più utilizzati sono di derivazione inglese e francese, come il The Current Behavior Scale (Elsass L, Kinsella G, 1989), l’Iowa Scale of Personality Change (Barrash et al. 1997), The Frontal System Behavior Scale (Grace, Malloy, 2000), l’Inventaire du Syndrome Disexecutif Comportemental (Godefroy, 2004), ma solamente alcune sono state tradotte in lingua italiana come ad esempio l’Apathy Evaluation Scale di Marin (Isella et al., 1998) e la Modified Overt Aggression Scale (Margari et al., 2005), che oltre ad essere selettive per specifici domini, mancano di dati normativi sulla popolazione italiana.

Altre scale invece come il Neuropsychiatric Inventory – NPI (Binetti et al, 1995) e il Frontal Behavioral Inventory (Alberici et al., 2007) valutano, attraverso il caregiver, la frequenza e la severità del disturbo, oltre al “burden” che ogni caratteristica rilevata causa nel familiare, ma entrambi gli strumenti sono stati costruiti per lo studio di persone con patologie neurodegenerative e mal si adattano allo studio dei disordini comportamentali di persone con GCA. Nell’NPI sono ad esempio presenti item che valutano aspetti tipici delle alterazioni comportamentali su base dementigena, pressochè assenti nella cerebrolesione acquisita. Tra questi il comportamento motorio aberrante, la presenza di deliri e allucinazioni.

Recentemente è stato tradotto e validato con dati normativi italiani uno strumento diagnostico studiato specificamente per l’assessment dei disturbi neurocomportamentali in pazienti con GCA, messo a punto in Inghilterra dal gruppo di Oddy nel 2011 (Cattran et al., 2011). Il BIRT-PQ (Brain Injury Rehabilitation Trust – Personnality Questionnaire) si compone di 5 questionari indipendenti che vanno ad indagare altrettante dimensioni di personalità, prevalentemente interessate dopo un evento lesivo cerebrale quali motivazione, impulsività, disinibizione, cognizione sociale e regolazione emotiva (Basagni et al., 2015). Per ogni questionario sono previste due identiche versioni, una per il paziente e una per il familiare o altra persona di riferimento per il paziente, i quali sono chiamati ad esprimere un giudizio attraverso una scala di valutazione a 4 punteggi, in modo che venga registrata la frequenza quotidiana con cui si presentano i comportamenti descritti dai 150 item complessivi dello strumento.

Lo scoring prevede punteggi totali per ogni area indagata; la possibilità di avere due punti di vista sullo stesso problema, derivante dalla compilazione dei questionari da parte del paziente e del familiare, fornisce informazioni sul grado di consapevolezza del paziente rispetto a possibili e inattese variazioni del proprio comportamento.

Il processo di acquisizione dei dati normativi sulla popolazione italiana, ha mostrato che la variabilità comportamentale non risente dell’età o del grado di scolarità e non sussistono differenze neanche in relazione al genere, se non per la dimensione regolazione emotiva, in cui i maschi ottengono punteggi significativamente più alti, ad indicare la propensione ad un minor controllo emozionale rispetto alle femmine (Basagni et al., 2015).


Descrizione di un caso clinico

Maschio di 47 anni, destrimane, con 14 anni di scolarità, con anamnesi negativa per patologie psichiatriche e per disturbi del comportamento, che nel 2012 rimane coinvolto in un incidente stradale al quale consegue trauma cranio encefalico con stato di coma.

Al momento del ricovero in Unità per Gravi Cerebrolesioni, un esame TC cranio mette in evidenza ematoma extradurale temporale e frontale destro, emorragia sub-aracnoidea e danno assonale diffuso conseguente a trauma cranio-encefalico.

Alla valutazione neuropsicologica effettuata all’inizio del percorso riabilitativo nella fase di ricovero, il paziente presentava amnesia post-traumatica con anosognosia, disorientamento tempo-spazio-persona, deficit mnestico di tipo anterogrado e retrospettivo con numerose confabulazioni, sindrome disesecutiva con alterazioni del controllo inibitorio, marcate difficoltà attentive (in particolare della sottocomponente selettiva e sostenuta) e disturbo visuo-spaziale.

La valutazione del profilo comportamentale era caratterizzata da alterazioni in eccesso, con impulsività, disinibizione, irritabilità, perseverazioni motorie e verbali, associate ad apatia e scarsa iniziativa.

In una prima fase il paziente, oltre al trattamento farmacologico, ha svolto un training cognitivo per il recupero delle abilità di orientamento e per il potenziamento della funzionalità attentiva (APT, Sohlberg e Mateer, 1987), associato ad un training comportamentale con Contingency Management Procedures CMPs (in Mazzucchi, 2006). Il monitoraggio periodico rispetto all’andamento delle alterazioni di personalità è stato in questa prima fase effettuato con la scala Neuropsychiatric Inventory – NPI, giacché il BIRT-PQ non era ancora disponibile.

In una fase riabilitativa successiva è stata proposta una serie di interventi riabilitativi sulle difficoltà di working memory, sul processamento mnestico (tecniche di ricostruzione e riorganizzazione), sul deficit visuo-spaziale con Terapia Razionale dei Disturbi Costruttivi TeRaDiC (Angelini e Grossi, 1993), sulle difficoltà disesecutive di pianificazione e di consapevolezza (Awareness Intervention Program, Cheng e Man, 2006), seguiti da trattamento per le difficoltà di categorizzazione (Constantinidou et al., 2005) e di inibizione dei comportamenti automatici (Inner Speech Training, Cicerone e Wood, 1987).

Alla valutazione di fine percorso riabilitativo effettuata prima della dimissione dal Day Hospital - DH (Tab.1), il paziente mostrava recupero della funzionalità visuo-spaziale, del processamento mnestico e delle abilità esecutive di categorizzazione e flessibilità della risposta; presentava prestazioni borderline a prove volte all’indagine delle abilità attentive, di working memory e di pianificazione, mentre emergevano evidenti disturbi del comportamento, ovvero i processi di controllo inibitorio e cognizione sociale risultavano francamente alterati. Le alterazioni comportamentali e le modificazioni personologiche conseguenti all’evento lesivo, apparivano confermate anche dai risultati dell’NPI proposto al familiare del paziente, che evidenziava significative alterazioni nelle scale “agitazione”, “apatia”, “disinibizione” ed “irritabilità” (tab. 2).

Al colloquio con il paziente emergeva consapevolezza per le difficoltà cognitive residue (rispetto alle quali utilizzava strumenti compensativi con buon successo), mentre non emergeva consapevolezza rispetto alle difficoltà comportamentali che riconosceva solo al momento in cui venivano evidenziate da altri e che non riusciva a controllare autonomamente.


Tabella 1
TABELLA 1

Prestazioni ai test neuropsicologici ottenute alla dimissione dal Day Hospital (DH). Una prestazione inferiore alla norma e contrassegnata da asterisco (*) è indice di una prestazione patologica. (a) I risultati sono espressi in punteggio grezzo (PG), in punteggio corretto per età e scolarità (PC), e in punteggio equivalente (PE). Il punteggio equivalente esprime la prestazione del paziente in una scala da 0 a 4, in cui 0 corrisponde ad una prestazione al di sotto dei limiti di tolleranza per il 95% della popolazione; 4 corrisponde ad una prestazione superiore alla mediana del campione, mentre i punteggi intermedi sono ottenuti dividendo in parti uguali la parte rimanente della distribuzione. (b) I risultati sono espressi in punteggio grezzo (PG), ed in cut-off di riferimento. (c) I risultati sono espressi in punteggio grezzo (PG), in punteggio corretto per scolarità, ed in cut-off di riferimento. (d) Si riporta esclusivamente un giudizio complessivo della prova, ricavato dai numerosi indici che la prova fornisce. (e) I risultati sono espressi in punteggio grezzo (PG), e valore normativo.


Tabella 2
TABELLA 2

Punteggi relativi alla somministrazione della scala NPI alla dimissione dal Day Hospital (DH). Un familiare attendibile viene invitato a valutare la situazione del paziente, indicando qualora il disturbo analizzato sia presente, la frequenza F (su una scala di frequenza crescente da 1 a 5), la gravità G (su una scala crescente da 1 a 3) di ciascun sintomo, il punteggio totale per sindrome P ed il disagio del care-giver S (su una scala di frequenza crescente da 1 a 5).

A 12 mesi dalla dimissione dal DH è stata effettuata una rivalutazione in follow-up, dalla quale è emersa una sostanziale sovrapponibilità del quadro cognitivo.

Approfondendo l’andamento del percorso intrapreso dal paziente a domicilio, nell’arco di tempo trascorso dall’ultimo controllo presso la nostra struttura sono emerse molteplici difficoltà relazionali che, pur non avendo inciso sui livelli di autonomia nella cura di sé e nelle attività della vita quotidiana, hanno condizionato negativamente le capacità di socializzazione impedendo di fatto un tentativo di reinserimento lavorativo che era stato programmato per completare il percorso riabilitativo.

Dal colloquio infatti è emersa l’adozione di stili relazionali e di modalità di fronteggiamento degli eventi caratterizzati da indifferenza, mancanza di volizione e da una certa incoerenza comportamentale che si è manifestata con intolleranza improvvisa verso contesti e situazioni sociali frustranti e reazioni di discontrollo.

Le stesse risposte comportamentali sembrano caratterizzare anche i rapporti tra il paziente e i familiari, con importante compromissione anche del suo ruolo genitoriale. Inoltre il tentativo di costruzione di una rete sociale al di fuori del nucleo familiare e la frequentazione protetta di un esercizio commerciale di proprietà di un familiare, pur avendo costituito occasione di gratificazione emotiva, sono risultati di fatto esperienze fallimentari.

In questa valutazione condotta nel follow-up a 12 mesi dalla dimissione dal DH, per l’inquadramento degli aspetti comportamentali è stato utilizzato il BIRT-PQ che, disponendo di due versioni (una per il familiare ed una per il paziente), ha permesso di oggettivare quanto fosse marcata la compromissione di consapevolezza nel paziente e quanto quindi lavorare su questa dimensione fosse centrale per contenere i disturbi comportamentali, ma anche più in generale per potenziare l’efficacia di tutti gli altri interventi riabilitativi.

Il BIRT-PQ ha mostrato una significativa discrepanza tra i risultati derivati dalla somministrazione al paziente ed ai familiari. Infatti mentre dalla valutazione restituita dal paziente non si evidenziava consapevolezza di alterazioni comportamentali significative (BIRT-PQ versione paziente), la somministrazione al familiare (BIRT-PQ versione familiare) evidenziava significative alterazioni nelle scale “motivazione” e “impulsività” (Tabella 3).


Tabella 2
TABELLA 3

Punteggi relativi alla somministrazione del questionario BIRT-PQ, nelle due versioni, paziente e caregiver, effettuata a 12 mesi dalla dimissione dal DH. Sono considerati patologici i valori superiori a punti z maggiori di 2,00 contrassegnati con asterisco.

L’analisi dei punteggi del BIRT-PQ ed il colloquio clinico condotto con il paziente e con i familiari, hanno mostrato come il paziente presentasse una difficoltà significativa di ingaggiarsi in compiti o in contesti che presuppongano la necessità di motivazione, con importanti difficoltà nell’apprendimento di nuovi compiti non riconducibile però alla residua compromissione cognitiva, bensì alla difficoltà di condivisione nei diversi contesti sociali, dove l’atteggiamento sembra caratterizzato dalla incapacità di utilizzare in modo funzionale l’interazione con gli altri. Tale compromissione appariva sostanzialmente riconducibile all’incapacità di entrare in risonanza emotiva ed alla carente spinta emotiva, che si traducevano in reazioni comportamentali disfunzionali caratterizzate da modalità impulsive di fronteggiamento degli eventi.

Confrontando le due forme della BIRT-PQ (versione per il paziente e per il familiare) è emersa una significativa compromissione della consapevolezza di sé e dei propri comportamenti che, sebbene consentisse al paziente di riconoscere alcuni atteggiamenti anomali quando evidenziati dagli altri, non gli permetteva di attuare le necessarie capacità riflessive per automonitorarsi nel momento in cui esperiva direttamente l’emozione frustrante, con conseguente incapacità di modulare emozioni e comportamenti per renderli sintonici al contesto in assenza di feedback esterni.

Conseguentemente alla rivalutazione effettuata con il supporto del BIRT-PQ, è stato proposto al paziente un training individuale specifico volto a lavorare sulle social skills, ed un intervento sull’intero nucleo familiare di tipo cognitivo-comportamentale, teso a ridimensionare l’impatto emotivo derivante dal rapporto con il paziente e volto a trovare strategie comuni che riorientassero l’intero sistema verso l’acquisizione di strategie relazionali più funzionali per tutti i suoi membri.


Discussione

La recente traduzione e taratura italiana di Basagni e al. (2015) del BIRT-PQ - Brain Injury Rehabilitation Trust che indaga la frequenza con cui, secondo la percezione soggettiva del paziente e del familiare di riferimento, alcuni comportamenti anomali si manifestano a seguito dell'evento morboso, risulta di estremo interesse e supporto nella pratica clinica quotidiana. La possibilità infatti di poter analizzare e ricondurre le alterazioni del comportamento in cinque domini distinti (Regolazione Emotiva, Motivazione, Impulsività, Disinibizione, Cognizione Sociale) e la possibilità di poter misurare e confrontare i punteggi con dati normativi, consente di graduare i livelli di performance del paziente e confrontarli durante i controlli di follow-up al fine di monitorare e graduare gli eventuali miglioramenti e l’efficacia degli interventi riabilitativi adottati.

L’impiego del BIRT-PQ permette di disporre di uno strumento di rilevazione appropriato e specifico, espressamente costruito su una casistica di persone con cerebrolesione acquisita e con dati normativi per la popolazione italiana, e sebbene anche la Neuropsychiatric Inventory sia utile per evidenziare alterazioni del comportamento, lo sviluppo della scala finalizzata al monitoraggio del distress dei caregiver e all’andamento clinico di pazienti con demenza, lo rende poco duttile e mal adattabile allo studio dei disturbi del comportamento dei pazienti con GCA che hanno una matrice etiopatogenetica, fenomenologica ed evolutiva significativamente differente rispetto alle demenze.

Inoltre, nel BIRT-PQ la presenza di due identiche versioni di ciascun questionario, una per il paziente e una per il familiare e/o persona significativa di riferimento, permettono di acquisire due diversi punti di vista della stessa problematica, offrendo una misura indiretta del livello di consapevolezza del paziente, che come precedentemente descritto, risulta una variabile cruciale nel percorso riabilitativo e di outcome del paziente (tanto più importante quando, come nel caso descritto, è presente scarsa capacità metacognitiva).

Infine l’uso dello strumento BIRT-PQ è risultato di semplice somministrazione e di facile correzione. Riteniamo pertanto che il suo utilizzo dovrebbe essere promosso quale strumento essenziale per lo studio ed il monitoraggio dei disturbi comportamentali del paziente con GCA.


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