Volume 13 - 4 Agosto 2016

Editoriale Nuova Rassegna di Studi Psichiatrici


La Recovery, il recupero della soggettività e la cultura dell’incontro

Autori
Nadia Magnani, Giuseppe Cardamone, Giuseppe Corlito

Il filo conduttore di questo numero della NRSP è la recovery (1,2) e quindi, in un’accezione più ampia, la persona come attiva protagonista della sua vita con e oltre il disagio. All’interno dei vari contributi, che si declinano affrontando temi centrali dell’operare in salute mentale, si sottolinea la continua necessità di orientare lo sguardo alla salute ed al benessere concretamente percepiti dalla persona e al suo vissuto soggettivo. Il senso più profondo del nostro operare è infatti facilitare percorsi di salute mentale, favorire benessere, integrazione e partecipazione, certi che dare voce e rendere possibile la partecipazione sociale di chi presenta un problema di salute mentale, oltre a promuovere la sfera più ampia dei diritti umani, implica di fatto restituire salute alla comunità, favorendone la crescita culturale e sociale. In questa cornice e in questa nuova contrattualità, si realizzano le scelte relative alla complessità di azioni che sottendono il processo della cura, nell’ambito di una nuova assunzione di responsabilità rispetto a se stessi (sia come persone che presentano un problema di salute mentale, sia in qualità di operatori), rispetto al disagio ed alla società. Il tema innovativo della recovery si traduce necessariamente in una riflessione interna ai servizi con possibili ridefinizioni di senso ed organizzative (vedasi il contributo “Verso Servizi Comunitari di Salute Mentale Recovery-Oriented” di S. Bruschetta et al.). Dobbiamo però necessariamente considerare il più ampio scenario nel quale si situa il nostro operare, poiché sappiamo bene, in quanto operatori della salute mentale, che il contesto è fondamentale nel nostro operare e più in generale lo è sempre quando si parla di salute o di disabilità, che a sua volta, come ormai sostiene con forza l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è di fatto il prodotto di un’interazione negativa tra la persona e il suo contesto (3). In questo senso vorremmo sottolineare un contributo che, in questo numero della rivista, orienta lo sguardo sulla complessità legata ai flussi migratori ed alla inevitabile pressione trasformativa che ne deriva, sia sulle società di arrivo che di partenza, ma soprattutto sulla conseguente forte pressione verso un necessario cambiamento culturale. Perché come sostengono gli autori del contributo “ci sono logiche e visioni del mondo che transitano e si spostano insieme agli individui, humus per processi di feconda contaminazione ed ibridazione negli orizzonti spazio-temporali dell’incontro” (vedasi il contributo "Prospettive teoriche e operative della psichiatria italiana negli scenari geopolitici contemporanei" di G. Cardamone e E. Facchi). In questa prospettiva crediamo particolarmente attuale la logica e lo strumento dell’incontro, della comprensione/condivisione e co-costruzione di storie e percorsi che è sotteso in molti contributi e che sostiene il concetto stesso di recovery: incontro e rispetto delle differenze, incontro con l’altro, con lo straniero, con il migrante, ma anche incontro con la persona che presenta problemi di salute mentale, dove l’altro è comunque sempre portatore di saperi. In questo senso l’incontro diviene occasione di crescita personale e sociale che deriva dall’aprirsi all’altro, dalla contaminazione di saperi, dall’attuazione di percorsi che permettano di far emergere dalla differenza (tra popoli o tra utenti ed operatori), una nuova “ricchezza”, “libertà”, apertura al nuovo, curiosità e rispetto dell’altro, senso di sé e progetto esistenziale. Il punto centrale è “non alzare muri, ma costruire ponti”, toccare, condividere, sentire, immedesimarsi e comprendere, anche se è oggi più che mai evidente il rischio di tendere verso la “separazione” e il “controllo” della diversità, dimensione ancora più concreta se si pensa ai possibili scenari che si aprono con la chiusura degli OPG e che coinvolgono i servizi in funzioni e azioni che confliggono di fatto con la mission di cura (vedasi il contributo sulla chiusura degli OPG di A. Mastroeni). Ci potremmo chiedere perché oggi sia così importante l’incontro con l’altro, il rispetto e la valorizzazione della differenza, se tutto il mondo oggi è connesso in una rete virtuale, tutti vicini e tutti nello stesso momento presente, ma senza reali contatti, abbracci, odori, sapori. Ogni sapere è apparentemente immediatamente disponibile nella rete virtuale, ed è immediatamente possibile il confronto, di fatto però la nostra società è sempre più individualista, e spesso si assiste ad una perdita dei valori di coesione sociale, ad un impoverirsi delle reti naturali, ad una crisi delle ideologie e perdita di valori aggreganti, basata su un’affermazione del senso di sé che si esprime attraverso l’acquisizione e l’ostentazione di oggetti di rapido consumo, dove più facilmente si strutturano percorsi di marginalità e deriva per le condizioni di fragilità. Ed anche il sapere che si struttura su informazioni e conoscenze immediatamente disponibili sulla rete, è spesso privo di un appropriato livello di stratificazione e interiorizzazione, perché pur nella sua ricchezza e universalità, presenta rischi e fragilità per assenza di un orientamento e di un’indicazione relativa ai criteri di selezione, che derivi ad esempio dalla costruzione di una conoscenza più profonda e da percorsi di confronto con chi possiede tale conoscenza. Una cultura fragile, quindi, perché facilmente falsificabile, non verificabile e spesso acquisita senza una reale interiorizzazione dei valori e delle storie che la costruiscono e la sottendono. Quindi emerge l’importanza di effettuare una studio accurato e una riflessione, di favorire il confronto di conoscenze e competenze in una condivisione puntuale e documentata delle esperienze e dei risultati, e questo di fatto si realizza anche attraverso il percorso e il senso di una rivista, soprattutto se si tengono insieme più voci, ovvero il contesto di diversi servizi e il contesto dell’Università e della ricerca (nel presente numero sono considerate in una prospettiva storica sia la presente rivista nel contributo di P. Martini, che la rivista “Psicoterapia e Scienze Umane”, nel contributo di F. Corlito). Essenziale è quindi nel nostro operare un rigore etico, ma è altresì necessario un rigore scientifico anche nel definire l’appropriatezza di specifici interventi attuati nel contesto dei Servizi, sia in termini di sostenibilità teorica che in termini di risultati. In tal senso sono qui riportati interessanti contributi su specifici interventi e progetti quali: a)il “Progetto Visiting” per l’accreditamento di qualità scientifico professionale tra-pari di Comunità Terapeutiche appartenenti ad alcuni Servizi di Salute Mentale della USL Toscana Sud-Est, condotto con il coinvolgimento dei principali stakeholder (utenti, familiari, operatori e manager) (vedasi il contributo di S. Bruschetta e A. Frasca); b) il protocollo ed i risultati preliminari di un intervento di psicoterapia di gruppo cognitivo-comportamentale per il disturbo ossessivo compulsivo, effettuato nel contesto di un servizio di salute mentale (A. Pozza, S. Domenichetti); c) una rassegna della letteratura empirica sugli outcome dei trattamenti psicoanalitici (L. Muzi); d) l’applicazione di un training metacognitivo di gruppo per le psicosi in una struttura residenziale riabilitativa (C. Lucii); e)una riflessione sull’indipendenza abitativa come esito in salute mentale, poiché, come sostiene l’autore (A. Maone), “il bisogno di un luogo in cui vivere è una necessità costante ed universale per tutti gli esseri umani e per tutta la vita” e “centrale e imprescindibile è il senso di validità interna, riacquistato attraverso il controllo di sé, dell’ambiente e della privacy”. Lavorare in questa direzione necessita di “politiche di gestione del rischio” più che di “politiche di evitamento del rischio”, mentre la ricerca in questo ambito fa emergere “l’utilità di un approccio qualitativo e narrativo”, che valorizza gli aspetti soggettivi. La molteplicità delle esperienze riportate può indubbiamente costituire occasione di confronto, condivisione, permettendo inoltre la realizzazione di analoghe esperienze in altri contesti. Vogliamo infine sottolineare il contributo sulla partecipazione degli utenti alla ricerca e alla valutazione dei Servizi in salute mentale (B. D’Avanzo, M. Vallarino), che discute “esempi concreti del paradigma molteplice e plurale corrispondente a questa trasformazione della costruzione del sapere” e analizza le potenzialità, gli ostacoli e le possibili soluzioni volte a realizzare un percorso che presuppone infine “una concezione del sapere viva e in mutamento, in grado di accogliere istanze sociali e vitali”. Questo presuppone, come sostengono gli autori, da un lato favorire la formazione e lo sviluppo di competenze negli utenti e dall’altro lato favorire la formazione degli operatori ai “temi della pluralità e della relatività della produzione del sapere scientifico e ai temi della soggettività”.

Quindi potremmo concludere che il filo conduttore di tutti i temi trattati è anche escludere la paura del nuovo e della contaminazione, la paura della messa in discussione di saperi e sicurezze, a vantaggio della libertà e del coraggio, come assunzione di un accettabile rischio, come nuova costruzione di sapere e cultura. Di fatto, introducendo il concetto di recovery si rende necessaria una rivoluzione sul piano dell’organizzazione dei servizi, ma anche sul piano culturale, politico e sociale, che apra alla promozione della salute e alla gestione del rischio. Non custodire/escludere ma aprire/partecipare e includere; il problema è però la presenza sempre più pressante, di situazioni che tentano invece un’inversione di questo percorso, a livello politico e sociale, ma anche relativamente ai livelli istituzionali che orientano la politica dei servizi (vedasi il pericoloso riattualizzarsi del binomio cura /controllo).


Bibliografia

1) Maone A, D’Avanzo B. Recovery. Nuovi paradigmi per la salute mentale. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2015

2) Amering M, Schmolke M. Recovery in Mental Health: Reshaping scientific and clinical responsibilities. Wiley Blackwell - World Psychiatric Association, 2009

3) W.H.O.–World Health Organization. ICF-International Classification of Functioning, Disability and Health. W.H.O., Ginevra, 2001